il caso non è chiuso


Pubblicato il 8 Aprile, 2023

La giovane si impiccò nel 2016 perché non era riuscita a fermare la diffusione su Internet di alcuni filmati erotici. La madre non ha mai smesso di lottare, convinta che la figlia sia stata uccisa. E ora sul corpo, mostrato e violato infinite volte, sarà fatta l’autopsia

Tiziana Cantone

La macchina per fare ginnastica in casa era diventata una forca. La pashmina penzolava ancora, Tiziana Cantone invece no, lei non penzolava più. Era adagiata senza più respiro, senza più vita. Troppo tardi in famiglia avevano capito che cosa stesse succedendo dietro la porta chiusa della tavernetta. L’avevano soccorsa e liberata dal cappio che si era stretta al collo, ma ormai non serviva più a niente. 

Il suo volto di donna giovane adesso era soltanto spento, ricostruisce il Corriere.

Non raccontava più nulla. Non la storia di una ragazza che voleva essere libera di andare dove tanti pensano sia troppo oltre, ma non aveva capito che lei stessa, poi, quella libertà non avrebbe saputo gestirla né sopportarne il costo. E non raccontava più nemmeno il dolore, il pentimento, la vergogna, il sogno impossibile di cancellare il passato.

Le emozioni non restano sul volto di chi muore. Resta soltanto il corpo. E forse proprio per un senso di pietà verso quel corpo, per evitarne l’ultima esposizione nel rito gelido dell’esame medico legale, dopo l’infinito abuso di sguardi e commenti e malignità, il magistrato decise di lasciarlo alla famiglia, di non imporre l’autopsia. Sembrava tutto tragicamente lineare: Tiziana si era uccisa. La scena lo raccontava e la sua storia lo spiegava. Era il 13 settembre del 2016, e sarebbe dovuto finire tutto quel giorno.

Lei per un anno aveva chiesto in ogni modo di essere dimenticata: rivolgendosi alla giustizia, cambiando nome, cambiando città, chiudendosi in casa. Alla fine si era illusa che soltanto il gesto più estremo le avrebbe dato pace. E invece non è mai finito niente. Tiziana è ancora dappertutto. Nel web che ciclicamente ne rilancia le immagini. Nelle battaglie legali di sua madre che non si rassegna al suicidio e vuole dimostrare un omicidio finora negato da qualsiasi indagine. Nelle cronache che puntualmente riportano qualunque vicenda a lei collegabile. E ora anche qui, su queste pagine. Perché forse l’unico modo per chiudere questa storia è riprenderla dall’inizio e provare a disinnescarla togliendo dal racconto tutte le ipocrisie, i non detto e pure gli ammiccamenti che la tengono in piedi da sette anni.

Tiziana Cantone
Maria Teresa Giglio, madre di Tiziana Cantone, sulla panchina rossa a lei dedicata, simbolo della lotta alla violenza contro le donne

Tiziana Cantone era nata nel 1983 a Casalnuovo, in provincia di Napoli, e cresciuta nel suo paese con la mamma Maria Teresa e la nonna Carmela, ma senza il padre, che se ne andò da casa quando lei era piccolissima e non si occupò mai più della figlia. Infanzia e adolescenza come tanti, liceo classico, poi Giurisprudenza lasciata a metà.
Quando non ha ancora trent’anni conosce Sergio Di Palo, un imprenditore più grande di lei con il quale inizia una relazione e una breve convivenza. E qui inizia anche la sua storia, quella finita sul web e poi nella tragedia.

Tiziana e Sergio frequentano un giro di scambisti, o qualcosa del genere. Perché non si tratta di veri e propri scambi di coppia. Il sito attraverso il quale fissano incontri a scopo esclusivamente sessuale ha una caratteristica specifica: l’uomo offre la propria compagna agli occasionali partner.

Tiziana e Sergio lo fanno di comune accordo, così come condivisa è la scelta che Tiziana venga filmata durante i rapporti sessuali. Nessuna maschera a coprirle il viso, nessun ricorso a quei programmi che sfocano e rendono irriconoscibili. Nelle immagini appare una bella ragazza con i capelli neri e gli occhi verdi in scene né più né meno che da film porno.

“È il nostro gioco”, sono soliti ripetersi i due. Ma Tiziana ancora non sa che quel gioco presto le sfuggirà di mano e diventerà un macigno che finirà per schiacciarla. Il primo passo lo fa proprio lei, mandando via WhatsApp sei video a cinque amici. Tutto il resto, invece, non si scoprirà mai chi lo ha fatto, ma i filmini di Tiziana cominciano a circolare.
Il primo sarà anche il più famoso, il più cliccato, quello che diventerà virale. Si vede lei che durante un atto sessuale si rivolge a qualcuno, non inquadrato, e gli dice: “Stai facendo un video? Bravo”.

Questa frase le rimarrà attaccata addosso come una condanna all’ergastolo. Tra i ragazzi diverrà un tormentone, finirà pure nel videoclip di un cantautore. È l’inizio della giostra, che da quel momento girerà sempre più veloce intorno a Tiziana. Dalle chat tra amici la storia rimbalza sui social, e i frame – pubblicabili – del video vengono utilizzati per creare meme su qualsiasi argomento. Sempre con il volto di Tiziana e le sue parole.
E questo è soltanto ciò che vedono tutti, o almeno che tutti ammettono di aver visto. Poi c’è l’altro livello, quello che non va su Facebook ma riempie i siti porno. E lì non c’è lo sfottò né il doppio senso. Lì c’è la suddivisione per sezioni, e quei video diventano tra i più cliccati della categoria “amatoriale”, tra le preferite dagli appassionati dell’hard.

Il gioco è diventato pesante, insostenibile. Tiziana si illude di fermarlo denunciando i cinque amici ai quali aveva inviato le immagini: pensa sia stato qualcuno di loro a dare il via alla diffusione nel web. Intanto va in crisi il rapporto con il fidanzato e la ragazza torna a vivere con la madre, anche se con Sergio non interromperà mai i contatti. Anzi, è proprio a lui che un giorno invia una sua foto con un sacchetto di plastica infilato sulla testa. Lo avverte che sta per farla finita, e lui riesce a dare l’allarme e Tiziana viene salvata. Ma ormai è crollata.

Non esce più da casa perché in strada si sente osservata, additata. Pensa che in tanti la riconoscano e probabilmente ha ragione. Attiva la procedura per cambiare cognome e assumere quello della madre, Giglio, poi si trasferisce per un periodo da parenti fuori dalla Campania. Ma prima di tutto si rivolge a un legale per far rimuovere dal web tutto ciò che la riguarda, non soltanto i video porno. Sarà un’altra cosa che le ricadrà addosso, l’ultima. Agli inizi del settembre 2016 l’avvocato di Tiziana fa circolare la notizia di un successo clamoroso. Il giudice civile impone a Facebook «l’immediata cessazione e rimozione dalla piattaforma del social network di ogni post o pubblicazione contenente immagini (foto e/o video) o apprezzamenti riferiti» alla Cantone. Tiziana ha sconfitto il gigante del web. Davide che abbatte Golia e tutto il rosario delle iperboli sulle vittorie a sorpresa dei piccoli contro i grandi. E invece Tiziana non ha vinto proprio niente. Il suo avvocato non mente, ma racconta solo una piccolissima parte della verità. È vero che Facebook è condannato a far sparire qualunque cosa riguardi la ragazza, ma è vero anche che questo è l’unico punto accolto dal tribunale. Che invece respinge le istanze riferite a Yahoo, Google e YouTube e stronca la rivendicazione di diritto all’oblio avanzata dalla Cantone. “Non si ritiene che rispetto al fatto pubblicato sia decorso quel notevole lasso di tempo che fa venir meno l’interesse della collettività alla conoscenza della vicenda”, scrive il giudice. E in un altro passaggio del suo provvedimento dichiara “evidentemente inammissibile in sede cautelare” il risarcimento danni chiesto dalla ragazza e per di più addossa a lei l’onere delle spese legali per il procedimento appena chiuso: ventimila euro.

Altro che clamoroso successo. Per Tiziana è una mazzata terribile, dalla quale non si riprende più. Passano pochi giorni e un pomeriggio va a chiudersi nella tavernetta della villetta della zia a Casalnuovo e si impicca.
A questo punto sulla sua tragedia dovrebbe apparire la parola “Fine”, e invece no. I titoli di coda finiscono per prendere quasi più spazio dell’intera storia. La Procura di Napoli Nord avvia una indagine per induzione al suicidio, un reato complicato da dimostrare e ancora più difficile da attribuire a qualcuno. E infatti l’inchiesta non approda a nulla e viene archiviata. Così come viene archiviata l’indagine avviata sugli amici ai quali Tiziana aveva inviato i suoi video. Loro non c’entrano niente con la diffusione delle immagini sui siti porno, stabilisce il pm. Che li scagiona dalle accuse e incrimina per calunnia Sergio Di Palo, ispiratore, secondo il magistrato, della denuncia presentata dalla fidanzata contro gli amici. Se Tiziana non fosse morta sarebbe incriminata anche lei.

Ma il colpo di scena deve ancora arrivare. Teresa Giglio non accetta l’idea del suicidio. Si affida a un team specializzato in casi altamente mediatici (per intenderci: quelli di cui si parla di più in tv) che alimenta le sue convinzioni. Per la mamma e i presunti esperti che ha ingaggiato, Tiziana è stata uccisa. I consulenti di Teresa sostengono che il solco sul collo era incompatibile con quello che avrebbe dovuto lasciare la pashmina trasformata in cappio. E anche che la sciarpa era troppo leggera per reggere il peso della ragazza. Si spingono fino a sostenere che qualcuno ha manomesso il telefono di Tiziana dopo la sua morte, quando tutti gli apparati telematici della ragazza erano nelle mani di Procura e carabinieri. In pratica ipotizzano un inquinamento delle prove da parte degli investigatori.
Tutti elementi che riempiono una nuova denuncia presentata in Procura e dalla quale scaturisce un’altra indagine. E sulla scena di questa storia infinita ricompare il corpo di Tiziana. Ora l’inchiesta è per omicidio, e il pm deve far fare quello che non fu fatto nel settembre del 2016: l’autopsia, e dispone quindi l’esumazione dei resti della ragazza. Fa anche altre attività investigative, la Procura, ma non trova nessun riscontro all’ipotesi dell’omicidio. Anzi, tra gli atti disposti dal pm c’è anche una “autopsia psicologica” affidata a una docente universitaria, giunta alla conclusione che Tiziana Cantone si sia uccisa.

La nuova inchiesta si conclude con la richiesta al gip di archiviazione del procedimento, ma la Procura apre anche una indagine per associazione a delinquere, frode processuale, calunnia e truffa nei confronti dell’intero staff ingaggiato a suo tempo da Teresa Giglio, che nel frattempo ha cambiato avvocato e pure consulenti, affidandosi a due autorità della medicina legale come i professori Vittorio Fineschi e Aniello Maiese. Ed è proprio sulla base della loro perizia che il nuovo avvocato della mamma di Tiziana si oppone all’archiviazione. E mentre anche Sergio Di Palo è uscito da questa storia, completamente assolto dall’accusa di calunnia, Tiziana Cantone continua a stare al centro della scena. Perché il gip respinge la richiesta della Procura e proroga di altri novanta giorni le indagini per omicidio. E dispone una perizia sulla macchina ginnica, sulla pashmina e sulla posizione in cui fu ritrovato il corpo di Tiziana. Il corpo. Sempre il corpo di Tiziana. Usato, mostrato, sfruttato, consumato, sbeffeggiato, violato, annientato, seppellito, riesumato, indagato. Guardato. Perché i video della ragazza ancora circolano sul web, anche se mille volte sono stati bloccati e rimossi. L’ultimo (di cui si ha notizia) comparve nel maggio scorso, ed era accompagnato da questo messaggio: “The leaked video of the late Tiziana, that is committed suicide after his video was released on the Internet. They have been removed. Until now! Enjoy the movie!“. “Il video trapelato della defunta Tiziana, che si è suicidata dopo che il suo video è stato diffuso su Internet. Erano stati rimossi. Finora! Goditi il film!”. Enjoy.





Fonte: https://www.dayitalianews.com/tiziana-cantone-auitopsia/

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