Malori e alcol non c’entrano. Ecco perché si muore come mosche nelle strade di Milano



A Milano si continua a morire sulle strade con un ritmo e una frequenza che non hanno riscontri in nessuna delle altre metropoli europee e occidentali con cui la città dice di ambire a confrontarsi. 

Ad ogni morto (ieri tra l’altro è deceduto un turista, esattamente come avvenne un anno fa in Viale Umbria, aggiungendo alla tragedia un danno di immagine per la città) la filastrocca è la stessa. Il “malore”, la distrazione, il telefonino, addirittura l’alcol e la droga sono lo spauracchio facile del popolo che ignora come queste circostanze siano causa di meno del 6% degli incidenti complessivi. Qualche ora dopo il terribile schianto di Via Boccaccio dove è morto lo svizzero Stefan Ott un altro grave incidente è occorso in Via Paolo Sarpi: altri due morti che sono andati a sbattere contro un muro con una enorme Porsche la quale non ha dato loro speranze nonostante i dispositivi di sicurezza, gli airbag, e nonostante l’auto fosse un suv più simile ad un’autoblindo della Seconda Guerra Mondiale che ad una autovettura per spostarsi in piccole stradine di città.

Anche in questo caso la stessa musica: malore, distrazione, qualcuno (anche se è sempre un tabù) azzarda e parla di velocità.  

Ora, visto che è indubbio che il problema dell’incidentalità a Milano non sono i “malori”, non sono le distrazioni, non sono i telefonini e non è di certo chissà quale anomalo consumo di alcol o droga, resta la velocità. Già, ma il problema dell’eccesso di velocità nelle strade urbane lo possiamo risolvere solo se lo osserviamo dalla prospettiva corretta ponendoci l’idonea domanda: come limitare la velocità a monte invece che a valle? Come scoraggiare l’eccesso di velocità prima che si materializzi e non a valle con costosi controlli e improbabili sanzioni?

Una scelta dotata di una certa efficacia è quella bolognese: limite a 30 all’ora in tutta la città e via andare. I risultati dei primi 6 mesi sono eloquenti: calo di mortalità e calo di incidentalità. Tuttavia c’è una strada ancor più efficace, adottata dovunque senza distinzioni, che riguarda il modo con cui progettiamo e disegniamo le strade. Basta osservare Via Boccaccio nel punto in cui è successo il fattaccio di ieri per riuscire ad elencare quante pecche questa strada dimostri di avere. E allora elenchiamo qualche elemento che costituisce la ordinarietà del “traffic calming” dovunque in Europa e che manca clamorosamente da noi:

La carreggiata

Oltre 4 metri di carreggiata per ogni senso di marcia fanno di Via Boccaccio una specie di irragionevole superstrada urbana. Sono dimensioni senza una logica e senza un senso, ben oltre ai livelli minimi imposti dal Codice della Strada. Strade larghe oltre alle necessità sono strade che mettono in pericolo gli utenti della strada stessa e incoraggiano ad accelerare: le dimensioni anomale restituiscono infatti un’illusione ottica per cui non ci si rende conto di andare forte. Infine carreggiate così larghe invitano alla sosta in doppia fila che rappresenta una autentica piaga per la sicurezza stradale.

Ciclabili

Uno strumento importante di traffic calming in strade urbane è rappresentato dalle piste ciclabili che dovrebbero essere previste dove lo spazio lo consente (e qui, come abbiamo visto, lo consente eccome) perché regolano correttamente le dimensioni e danno una percezione di condivisione della strada con altri utenti che disarticola la inconscia sensazione di onnipotenza degli automobilisti che – spesso involontariamente – porta a violare i limiti di velocità.

Niente alberi

Anche se volessimo dar credito alla tiritera dei “malori” dovremmo considerare che la loro incidenza agostana potrebbe derivare dal caldo. Bene, come si fa a ridurre e anche di molto il caldo sulle nostre strade? In un modo solo e non serve essere Stefano Mancuso per capirlo: piantare alberi. Come è possibile che strade centrali come Via Boccaccio non abbiano neppure un albero e che, totale regno delle autovetture e dell’asfalto, diventino d’estate delle isole di calore micidiali?

Marciapiedi strettissimi

Osservate la strada: guardate lo spazio destinato ai pedoni. Siamo a meno del 10% della superficie pubblica complessiva. Due marciapiedini strettissimi che costringono di stare in prossimità della carreggiata (così se una vettura esce di strada non hai scampo, appunto) e tutto il resto è strada per le auto in movimento e strada per le auto parcheggiate. I pedoni o chi si muove in bici deve vivre da umiliato, da ospite non gradito e deve togliersi di mezzo quanto prima per lasciare spazio alle autovetture. Ormai da nessuna parte del mondo occidentale esistono più strade concepite in questo modo. Un automobilista – anche solo in maniera inconscia – quando guida in una strada simile si sente automaticamente padrone dello spazio pubblico, non è portato a rispettare gli altri utenti, percepisce che lo spazio è tutto per lui e ritiene di poter fare quello che vuole senza prestare attenzione al prossimo. È il design della strada a comunicargli questo.

Niente dossi

Strade dritte come fusi che sembrano la pista di atterraggio del Forlanini di Linate. E neppure un ostacolo, un elemento, uno spunto che ti fa venire voglia di rallentare. Men che meno i dossi, che sono efficaci sempre, non costano nulla di manutenzione, e stanno li h24 a fare il loro lavoro. In Italia è difficilissimo montarli perché le leggi tutelano le auto e non la sicurezza dell’utenza fragile della strada e quindi c’è la scusa del passaggio dei mezzi pubblici, delle ambulanze e quant’altro. Ma si può risolvere con uno strumento efficace di traffic calming che si chiama “cuscino berlinese” ovvero un dosso a forma di quadrato collocato in mezzo alla carreggiata che ostacola le auto ma fa non ostacola i mezzi pesanti come ambulanze o bus. Voi quanti cuscini berlinesi avete visto in città? All’estero si stanno diffondendo moltissimo, e non solo a Berlino.

Tra l’altro un opportuno sistema di dossi avrebbe cambiato le sembianze anche all’incidente di Chinatown: i due coniugi nella Porsche provenivano a gran velocità da Via Rosmini, tuttavia – malore o non malore – se su Via Rosmini ci fossero stati dossi, chicane e altre implementazioni volte a far rispettare fisicamente una Zona 30 quella velocità non si sarebbe proprio potuta fisicamente sviluppare e i due signori sarebbero con ogni probabilità ancora vivi.

Attraversamenti pedonali

Il pedone non deve ‘scendere’ a livello delle auto per attraversare. Sono le auto che, piano piano, devono salire a livello dei pedoni. Gli attraversamenti pedonali devono essere rialzati (si chiamano tecnicamente ‘castellane’) per garantire un surplus di sicurezza. Qualche attraversamento rialzato a Milano c’è, ma davvero pochi. Sono l’eccezione mentre dovrebbero essere la norma e così, col tempo, chi guida l’auto si abituerà automaticamente a rallentare in prossimità delle strisce come fanno tutti gli altri cittadini europei.

Salvagenti personali

Guardate gli attraversamenti pedonali di Via Boccaccio: partono da un marciapiede e arrivano ad un altro: una traversata, un calvario. Ma gli attraversamenti non si fanno così! Ci deve essere un’isola centrale in cui le strisce si interrompono, approdano in uno spartitraffico, per poi ripartire sull’altra carreggiata. In alcuni tratti a Milano ci sono questo genere di attraversamenti, ma in troppo pochi. Per il resto le strisce pedonali sono rimaste come quelle di Via Brancaccio, le stesse degli Anni Cinquanta.

Rilevatore di velocità

Gli autovelox sono considerati uno dei nemici pubblici più odiati in Italia, un fatto davvero singolare visto che sono degli autentici salvavita come tutti i dati certificano. Spesso nelle altre città strumenti di questo genere sono presenti anche in centro città. In Italia preferiamo sparlare di “malori” e piangere sul latte versato. In città sono assenti anche i banali rilevatori di velocità, quei display che indicano a quanto si sta andando pur senza multare, utili per aumentare la consapevolezza degli automobilisti. Ma in Italia gli automobilisti non vanno disturbati mai, neppure con un semplice alert…

Rotonde

Le rotonde sono considerate uno strumento di moderazione della velocità e un grandioso contributo alla sicurezza stradale. Grazie alla loro presenza ogni giorno nel mondo si salvano centinaia di vite: in Italia spesso vengono prese in giro scimmiottando la loro eccessiva presenza anche se ne abbiamo in numero largamente minore che all’estero e anche se siamo arrivati ad installarle con un ritardo di decenni. Non è facile implementarle in città, ma nel caso specifico non si capisce perché Piazza Giovine Italia non sia progettata come una rotonda con parco centrale piuttosto che come un caotico incrocio.

Materiali

Vi capiterà spesso di far caso all’estero di un cambio di materiali in prossimità degli incroci o degli attraversamenti pedonali. La strada modifica il suo colore, diventa più scura, vira verso il color mattone e rossiccio. Si tratta di una strategia che a livello neuronale comunica all’automobilista il cambio di paradigma e gli suggerisce di essere in un contesto in cui deve moltiplicare l’attenzione e moderare ulteriormente la velocità. Un disegno stradale che è praticamente impossibile vedere in Italia, come se da noi non si potesse osare chiedere agli automobilisti – padroni assoluti della strada – un surplus di concentrazione sulla guida e di rispetto del prossimo…

Insomma a Milano come quasi dovunque in Italia le strade urbane non sono altro che una striscia di catrame senza alcun progetto, senza alcun pensiero, senza una strategia e una visione e senza una applicazione delle buone pratiche invalse ormai da tempo in tutto il mondo. Sono rimaste a 50, 60 o 70 anni fa nel quadro di una arretratezza cha che non ha paralleli in nessun altro paese europeo. Ma anche se facciamo finta di non saperlo, ormai sono decenni che esistono degli standard per progettare le strade urbane al fine di ridurre incidentalità e mortalità (e in alcuni casi di azzerare questi eventi). Se decidiamo deliberatamente di non applicare questi standard (magari per non essere impopolari e non disturbare l’anarchia e la prepotenza degli automobilisti), dovremmo poi evitare di sorprenderci quando si tratta di contare i morti come in una strisciante guerra civile.

I malori avvengono in tutto il mondo, l’abuso di alcol è un problema anche da altre parti ben più che da noi, eppure il numero di morti che si piangono dalle nostre parti non è paragonabile a quello delle altre città Europee. Perché? È presto detto: perché le strade sono rimaste quelle di un tempo, nessuno sembra interessato a migliorarle, le leggi ne ostacolano la riqualificazione e oggi sembrano progettate appositamente per alimentare le violazioni e per mettere a rischio della vita la parte più fragile dell’utenza. Si tratta di un problema solo italiano che l’Unione Europea dovrebbe attenzionare obbligandoci a fare quello che si è fatto altrove nel continente. A partire dalla forsennata riforma del Codice della Strada che renderà tutto quanto elencato sopra ancora più grave e ancora più impossibile da sanare.



Fonte: https://www.milanotoday.it/attualita/velocita-incidenti-stradali-auto.html

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