Affitti brevi in frenata: -11% di annunci online. Pesano Cin e redditività

Frenano gli affitti brevi nelle grandi città per la prima volta dopo il Covid. Nel mese di febbraio gli annunci nei 20 capoluoghi di regione sono calati dell’11% rispetto al mese precedente: da 75mila a 66.600, secondo l’analisi svolta sui principali portali online da Aigab, l’associazione dei gestori di locazioni brevi. Dal -9% di alloggi in offerta a Roma al -8% di Milano, con il picco di -20% a Firenze.
L’impatto del Cin
«Con tanta offerta e poca domanda, i proprietari, anche per via dei tanti adempimenti, si stanno rivolgendo ad altri mercati», commenta Marco Celani, presidente di Aigab. A pesare è quindi anche il Cin, il codice identificativo nazionale di cui dal 2 gennaio devono essere dotati tutti gli alloggi in affitto breve. Venerdì 14 marzo i Cin rilasciati erano 519mila, cifra che corrisponde all’85% delle strutture registrate nella banca dati del ministero del Turismo e dotate dei codici regionali. Questo scarto del 15% appare congruo con il calo delle inserzioni online nel 2025, secondo i principali portali come Airbnb, che da gennaio ha “spento” gli annunci privi di Cin (tranne quelli per locazioni oltre i 30 giorni o con il codice in via di rilascio).
In questo contesto, «ci sono regioni come l’Umbria dove ci segnalano rallentamenti nel rilascio del codice regionale, necessario per richiedere quello nazionale», aggiunge Dario Pileri, presidente di ProLocaTur, associazione per la tutela dei proprietari che fanno affitto breve. Il quadro degli adempimenti che scoraggia i locatori, aggiunge Pileri, è aggravato dagli obblighi in materia di sicurezza e dai costi per acquistare e mantenere a norma estintori portatili e rilevatori di monossido: «Un’ulteriore barriera per chi opera in zone periferiche o meno attraenti, con tassi di riempimento inferiori, o per limitati periodi all’anno». Anche questo sottrae redditività. Mentre gli incassi comunali generati dall’imposta di soggiorno – che i locatori sono tenuti a riscuotere – segnano nuovi record: nel 2024 hanno superato il miliardo e nel 2025 si stima dovrebbero crescere del 17 per cento.
Il nodo keybox
Per gestori e proprietari, però, il fronte caldo è quello aperto dalla circolare del ministero dell’Interno del 18 novembre 2024, che ricorda l’obbligo di identificare “de visu” i clienti. Proprio appellandosi alla circolare, alcune città d’arte come Roma hanno iniziato a rimuovere le keybox, nel tentativo di arginare abusi e irregolarità. D’altra parte la pressione su alcuni centri storici agli occhi dei sindaci si è fatta insostenibile.
Ma i temi, avvertono gli operatori, sono diversi: «Installare una keybox su una proprietà pubblica o comune è chiaramente vietato – osserva Celani –, ma è anche vero che oggi esistono app o altre soluzioni per identificare l’inquilino a distanza, che ricalcano quelle per il rilascio dello Spid».