Doppio tentato omicidio dopo lite al bar, commissario in aula: “Diverbio per un immobile”
“Incardona sparò a Francesco Gueli perché lo aveva colpito con uno schiaffo in un bar, litigavano per una trattativa su una vendita immobiliare”. L’ex dirigente del commissariato Tommaso Amato ha ricostruito così in aula le prime battute dell’indagine sulla notte da far west del 12 giugno del 2018. I protagonisti della vicenda sono 8. In due hanno chiesto il giudizio abbreviato: si tratta di Francesco e Alessandro Gueli di 48 e 39 anni.
Davanti ai giudici della prima sezione penale, presieduta da Alfonso Malato, invece, sono imputati: Giuseppe Incardona, 68 anni; Gianmarco Onolfo, 33 anni; Leandro Onolfo, 31 anni; Calogero Onolfo, 63 anni; Elisa Immacolata Conti, 28 anni e Gioacchino Ingiaimo, 53 anni.
Notte da far west con due tentati omicidi dopo lite al bar, chiesti 8 rinvii a giudizio
L’indagine avrebbe individuato gli autori di due tentati omicidi e ipotizza il possesso illegale di armi e il favoreggiamento. A imbeccare la polizia, secondo quanto detto in aula dal poliziotto, sarebbe stato un confidente. “Abbiamo ricevuto la segnalazione di una sparatoria per strada – ha detto Amato – con due auto che correvano a folle velocità. Il conducente di una sparava all’indirizzo dell’altra. Ci dissero che tutto scaturiva da una lite al bar”.
Gli avventori del bar confermano poi il movente. “Stavano trattando la cessione di un immobile, la negoziazione era ancora alle fasi preliminari ma ci fu una lite e Francesco Gueli schiaffeggiò Incardona”.
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Quest’ultimo, secondo la ricostruzione dell’episodio, prende la sua Mercedes e insegue Gueli a bordo di una Panda sparandogli addosso almeno dieci colpi di pistola, uno dei quali si ferma sullo schienale. Gueli, anzichè denunciare Incardona, occulta la macchina e si consulta con i familiari per organizzare la vendetta. Poi, sempre secondo l’accusa, incontra per strada un conoscente, intercettato per altre vicende, che ha il gps e le microspie piazzate nell’auto.
Infine l’incontro con altri familiari. Il cugino Leandro Onolfo forse cerca di disarmarlo ma la pistola viene azionata e un proiettile lo colpisce sul costato: l’uomo si salverà dopo l’asportazione di milza e rene.
La difesa: “Colpo partito per sbaglio”
Amato, rispondendo al pubblico ministero Elettra Consoli e agli avvocati del collegio di difesa, Giuseppe Vinciguerra e Antonino Gaziano, ha spiegato che altri dettagli investigativi sono emersi dalle conversazioni intercettate nella cella e nella sala colloqui del carcere dove era detenuto Incardona dopo l’arresto.
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