Figli con malattie genetiche se si diventa papà “troppo tardi”



Le nuove mutazioni che colpiscono i geni e provocano numerose malattie genetiche sono trasmesse, in prevalenza, per via paterna. C’è di più. Il pericolo aumenta con l’avanzare dell’età, poiché le cellule staminali germinali che danno origine agli spermatozoi (spermatogoni), e che contengono tali mutazioni – quest’ultime sarebbero responsabili dell’iperattivazione di una via di una via di segnalazione intracellulare, conosciuta come Mapk (Mitogen-activated protein kinase) e di prassi attivata in risposta allo stimolo di fattori di crescita come avviene di frequente in numerose patologie oncologiche – si replicano durante l’intera vita, aumentando così la probabilità che si accrescano progressivamente di numero.

Inoltre le cellule portatrici del gene mutato possono presentare un “vantaggio proliferativo clonale” (all’atto pratico, si replicano più velocemente delle cellule sane, incrementando di numero e aumentando il pericolo di trasmettere una malattia rara ai propri figli). Lo aveva già anticipato, nel 2019, una ricerca visibile sulla rivista scientifica Nature Communications e ora un nuovo meccanismo molecolare alla base di questo processo viene confermato da uno studio congiunto – pubblicato sul mensile scientifico The American Journal of Human Genetics – dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e dell’Università di Oxford.

Ruolo paterno

Come descrive a Today.it Marco Tartaglia, responsabile dell’Unità di genetica molecolare e genomica funzionale dell’Ospedale, “molte malattie genetiche sono provocate da mutazioni puntiformi che colpiscono singoli geni. Tali mutazioni possono essere ereditate da uno oppure da entrambi i genitori o insorgere come evento “somatico” – dunque, senza essere ereditarie – nel momento in cui compaiono spontaneamente durante il processo di replicazione del Dna direttamente nelle cellule durante lo sviluppo embrionale”. A loro volta, spiega ancora il professore, le mutazioni ereditate possono provenire dal corredo genetico del padre o della madre (oppure di entrambi) o insorgere de novo nelle cellule staminali paterne o materne (da cui derivano, rispettivamente, gli spermatozoi e gli ovociti maturi).

“In questo caso – continua Tartaglia – è uno dei due genitori (più di frequente il padre) a trasmettere il gene mutato che provoca la malattia del nascituro, nonostante la mutazione non rimandi al corredo genetico originario della coppia”. Quindi il responsabile dell’Unità di genetica molecolare e genomica funzionale dell’ospedale Bambino Gesù, precisa: “Parliamo di andamenti probabilistici che hanno una linearità nell’associazione. Così, più il futuro papà è avanti con l’età, più è probabile che nel genoma dello spermatozoo che ha fecondato l’ovocita ci possano essere una o più mutazioni. Certo, molte di loro sono innocue, ma alcune vanno a colpire dei geni importanti per lo sviluppo embrionale e per i processi fisiologici in generale e possono determinare una patologia”.

Sindrome di Myhre

Lo studio internazionale multicentrico è stato eseguito analizzando i campioni di 18 pazienti (e delle loro famiglie) diagnosticati con sindrome di Myhre, una malattia genetica rara provocata da mutazioni nel gene “SMAD4” che insorgono de novo negli spermatogoni, causando ritardo di crescita, deficit cognitivi, ipertrofia muscolare, sordità e anomalie scheletriche. Una diversa classe di mutazioni in questo stesso gene è nota causare la poliposi gastrointestinale giovanile, una malattia rara caratterizzata da polipi amartomatosi giovanili nel tratto gastrointestinale con rischio di degenerazione tumorale.

Tuttavia, chi è affetto da sindrome di Myhre non ha un rischio più elevato di sviluppare tumori rispetto alla popolazione normale. Sono stati analizzati anche i dati anagrafici di 35 nuclei familiari di pazienti statunitensi affetti dalla stessa malattia. Ebbene, il team di ricerca ha dimostrato che le mutazioni che provocano questa malattia hanno sempre origine paterna.

I ricercatori del MRC Weatherall Institute of Molecular Medicine (Università di Oxford) hanno poi sottolineato come tali mutazioni concedano un vantaggio proliferativo alle cellule germinali staminali stabilendone l’espansione clonale. Questa maggiore divisione cellulare rappresenta un processo per alcuni aspetti simile a quello che avviene nelle cellule del cancro – “anche nelle neoplasie, infatti, abbiamo delle cellule che si dividono molto di più rispetto alle cellule normali”, puntualizza Tartaglia – e aumenta l’eventualità che uno spermatozoo determini una mutazione che causa la patologia. “Lo studio dimostra la presenza di espansione clonale in associazione a mutazioni che colpiscono una proteina che opera al di fuori della via di segnalazione già associata a tale fenomeno”, riprende il professore.

“Tale scoperta – ammette ancora Tartaglia – indica che, con l’aumentare dell’età paterna, più meccanismi molecolari possono contribuire ad accrescere la probabilità di trasmissione al nascituro di un gene mutato potenzialmente causa di malattia”. Chiosando così: “Parliamo di risultati importanti sia per le rilevanti implicazioni in ambito di consulenza genetica e di calcolo del rischio riproduttivo, sia in termini di nuove conoscenze”.



Fonte: https://www.agrigentonotizie.it/benessere/salute/rischio-malattie-genetiche-aumenta-eta-padre.html

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