“Gli Usa ci hanno consegnato all’Iran”



“Gli americani hanno cambiato il regime in Iraq, ma non ne hanno protetto la popolazione”, gli iracheni “non hanno mai sperimentato la democrazia” dal 2003, gli Stati Uniti hanno “spalancato le porte agli iraniani” e oggi in Iraq, 20 anni dopo l’avvio delle operazioni Usa, “l’Iran ha un peso politico ingiustificato”. Raid Michael, iracheno della comunità siro cattolica, parla con l’Adnkronos da Erbil, nel Kurdistan iracheno. Michael è un fiume in piena quando gli si chiede del suo Paese, parla degli “alti livelli di corruzione”, di “risorse distribuite in base a interessi dei politici” e non usa mezzi termini contro lo strapotere delle “milizie”, contro “meccanismi di potere definiti su base settaria”, contro “quello che di molto grave è accaduto in Iraq” con un governo che è “molto debole” di fronte alle “milizie che hanno soldi e combattenti”.

Michael, originario della zona di Ninive, ha vissuto a Baghdad dal 1995 fino al 2006 quando “minacciato per tre volte all’epoca di al-Qaeda” è stato costretto a lasciare la capitale irachena. Lavora dal 1999 per Un Ponte Per, è Country Director in Iraq dell’ong nata nel 1991, che promuove pace, diritti umani, solidarietà tra i popoli. Non si stanca di denunciare quello che a suo avviso non funziona in Iraq, parla delle Forze di mobilitazione popolare (Hashd al-Shaabi) “nate nel 2014 quando Daesh (o Is) è entrato in Iraq”, di quella che considera una “mano dell’Iran in Iraq” e di come oggi siano “diventate parte dell’esercito iracheno anche se hanno un loro leader e non sono realmente controllate dal capo dell’esercito”. E afferma: “Queste milizie sono nate per difendere l’Iraq quando è arrivato Daesh, ma ora che Daesh non c’è più avrebbero dovuto essere disciolte”.

L’Is non esiste più? “Queste milizie – risponde – denunciano una presenza di Daesh nel paese più grave del reale. Anche se ci sono cellule dormienti e altre che compiono sporadici attentati, ci sono attori interessati a mantenere alta la paura per giustificare il mantenimento di milizie anti-Daesh. Questo è molto pericoloso perché significa che non esiste un Iraq unito con una democrazia vera”. E se gli si chiede se abbia paura, Michael replica parlando di un “Iraq più stabile dal punto di vista della sicurezza generale rispetto al 2006”, ma – aggiunge – “resta il fatto che qualsiasi persona che decide di lavorare su diritti umani, di parlare delle milizie, viene attaccata in modi diversi, minacciata”. E noi, sottolinea con il suo altruismo, “stiamo attenti qui perché come ong internazionale non vogliamo creare problemi a chi beneficia dei nostri progetti”.

Michael parla degli “interessi dei singoli e degli interessi dei partiti politici” e incalza: “Dopo il 2003 l’Iraq è totalmente cambiato perché prima l’élite politica era prevalentemente sunnita, poi leader sciiti hanno preso il potere, ma senza esperienza per governare”. “Quindi – aggiunge – il processo elettorale basato su etnie e appartenenze religiose che gli Stati Uniti hanno imposto all’Iraq dopo l’occupazione non ha portato alla democrazia, non ha portato a governi che riflettono le scelte degli elettori” e ha “bensì creato un sistema dipendente da interessi settari divergenti”.

Il governo attuale “non ha una strategia chiara per il cambiamento” in un Paese in cui, prosegue Michael, “si è creato un sistema di gruppi di potere con proprie milizie” che “possono decidere su molte cose o anche bloccare una legge che sia contraria ai loro interessi”. Non solo, continua nel suo quadro dell’Iraq 20 anni dopo l’avvio delle operazioni Usa, “l’esercito iracheno, quello ufficiale, non entra in alcune zone che sono sotto controllo delle milizie, quindi la sicurezza della popolazione in alcune aree è precaria”.

E se si pronuncia la parola ‘speranza’, il pensiero di Michael corre alle proteste del 2019. In quell’occasione si è visto, osserva, “che l’Iraq è cambiato tanto per quanto riguarda la libertà dei giovani di esprimersi, di protestare, di rivendicare i loro diritti”. In questo contesto continua il lavoro di Un Ponte Per che, “nel 2003 e nei momenti di maggiore crisi si è concentrato sugli aiuti umanitari per far fronte all’emergenza” e che poi “ha lavorato su ricostruzione, peacebuilding e coesione sociale soprattutto dopo la liberazione di Ninive da Daesh” con l’attenzione sempre alta sui diritti umani.



Fonte: https://www.adnkronos.com/liraq-20-anni-dopo-lattivista-gli-usa-ci-hanno-consegnato-alliran_7euVKXw4zmNiBQXkGr23TL

Back to top button