I segnali di crisi dell’economia mentre Netanyahu è determinato a proseguire la guerra e tenere il potere


Il declassamento del rating sull’economia di Israele da A2 a Baa1 con outlook negativo annunciato dall’agenzia internazionale Moody’s di recente dimostra in modo inequivocabile quanto sia aumentato il rischio geopolitico, con conseguenze negative per l’affidabilità creditizia del Paese sia nel breve che nel lungo termine. A quasi un anno dall’attacco del 7 ottobre 2023 da parte del movimento islamista palestinese Hamas in Israele, l’operazione militare nella Striscia di Gaza e la più recente escalation contro i miliziani sciiti di Hezbollah in Libano ha provocato innanzitutto un incremento significativo della spesa nel settore della Difesa, con circa 200-250 miliardi di shekel (54-68 miliardi di dollari) di costi diretti, secondo le stime del dicastero delle Finanze dello scorso settembre. Come conseguenza dell’estrema volatilità della situazione in Medio Oriente, sono diminuiti gli investimenti in asset in Israele, che nel secondo trimestre 2024 sono aumentati di appena lo 0,3 per cento, e si sono quasi azzerati gli introiti derivanti dal settore turistico, che nel 2022 e nel 2023 avevano raggiunto i 5,5 miliardi di dollari. Parallelamente, è aumenta la spesa pubblica, sia per finanziare i costi diretti della guerra, che quelli indiretti, come ad esempio la gestione dei circa 60 mila sfollati che hanno dovuto lasciare le loro abitazioni nel nord di Israele e a spese dello Stato sono ospitati negli alberghi o vivono in abitazioni private. A tutto ciò, si aggiungono l’aumento dei costi dei beni, a causa degli attacchi alle navi container nel Mar Rosso, che hanno reso necessario optare per la più lunga e costosa circumnavigazione del Capo di Buona Speranza, e i riservisti costretti a lasciare la loro occupazione abituale per indossare l’uniforme. Dati in controtendenza per l’economia del Paese e per gli impatti delle decisioni dell’esecutivo di Benjamin Netanyahu che sta cercando di tenere la sua maggioranza di governo con l’ingresso di Gideon Sa’r nell’esecutivo, dopo che i sondaggi rivelano come il partito del ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, non supererebbe la soglia di sbarramento in caso di nuove elezioni.

Per Moody’s, “a lungo termine, l’economia di Israele sarà indebolita in modo più duraturo dal conflitto militare di quanto previsto in precedenza”. L’agenzia di rating stima che “con maggiori rischi per la sicurezza, potrebbe non esserci più una rapida e forte ripresa economica come nei conflitti precedenti. A sua volta, una ripresa economica ritardata e più lenta in combinazione con una campagna militare più prolungata e più ampia avrà un impatto più persistente sulle finanze pubbliche, allontanando ulteriormente la prospettiva di una stabilizzazione del debito pubblico, rispetto alle nostre precedenti proiezioni”. Chen Herzog, economista capo presso Bdo Consulting Israel, spiega che il declassamento del rating crea un effetto domino. “I tassi di interesse sul debito pubblico aumentano a causa del basso rating, gonfiando ulteriormente il deficit fiscale. Una maggiore spesa pubblica per il servizio del debito rende necessario aumentare le tasse e tagliare altre spese, peggiorando il rallentamento economico”, ha detto, secondo quanto riferisce il quotidiano d’informazione economica israeliano “Globes”.

Lo scorso 3 settembre, il ministro delle Finanze di Israele Smotrich ha presentato un piano di bilancio statale per il 2025 con un obiettivo di deficit del 4 per cento del prodotto interno lordo (Pil), che richiederà 35 miliardi di shekel (circa 9,5 miliardi di dollari) di aggiustamenti fiscali. Il tetto del deficit previsto dal ministero delle Finanze è in linea con la raccomandazione della Banca d’Israele. Per quest’anno, il governo ha dovuto aumentare l’obiettivo di deficit di bilancio del 2024 al 6,6 per cento del Pil da un 2,25 per cento pianificato e approvato prima della guerra, scaturita dall’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023. Israele ha registrato un deficit di bilancio del 4,2 per cento nel 2023. Per soddisfare l’obiettivo di deficit di bilancio fissato per il 2025, Smotrich ha illustrato una serie di misure per gestire il buco fiscale di 35 miliardi di shekel (circa 9,5 miliardi di dollari). Tra le misure previste, vi è l’aumento dell’aliquota minima per i lavoratori a basso reddito dal 10 al 14 per cento. Tra le altre misure proposte vi è il congelamento degli stipendi del settore pubblico. Nella sua valutazione, Moody’s prevede una crescita del Pil reale dello 0,5 per cento quest’anno, mentre per il 2025 è prevista all’1,5 per cento, in calo rispetto alla stima precedente del 4 per cento. L’agenzia di rating stima che il debito pubblico salirà verso quasi il 70 per cento del Pil, rispetto alla previsione di un calo verso il 50 per cento prima del 7 ottobre.

La “sofferenza” dell’economia di Israele “è iniziata già quando ha vinto le elezioni l’estrema destra, a novembre 2022, a causa delle preoccupazioni degli investitori”, dichiara ad “Agenzia Nova” I.D. imprenditore israeliano. Le elezioni del primo novembre 2022 hanno decretato la vittoria della coalizione formata dal partito Likud del primo ministro Netanyahu e dai partiti dell’estrema destra e dei religiosi, pronti a sostenere l’esecutivo in cambio del mantenimento e in taluni casi dell’accrescimento dei loro benefici e sussidi. Il voto di due anni fa ha segnato l’inizio di una spaccatura che si è poi concretizzata con la riforma della Giustizia voluta dal ministro Yariv Levin. Le manifestazioni che si svolgevano ogni sabato dopo la formazione del nuovo governo sono culminate con uno sciopero generale il 27 marzo 2023 da parte di quella popolazione laica o inglobata nel sistema produttivo che mal sopportava di dover contribuire alla ricchezza del Paese nel pieno di una deriva anti democratica. È proprio in questo contesto, spiega la fonte a “Nova”, che quando “il ministro della Giustizia ha presentato la bozza di riforma, tanti investitori, soprattutto del settore high-tech hanno pensato di non investire più in Israele, togliendo l’afflusso di dollari nel Paese, mentre le start-up hanno preferito registrarsi in Europa e negli Stati Uniti”. Pertanto, “già prima del 7 ottobre l’economia ha iniziato a soffrire” e “se la guerra continuerà ci saranno ulteriori danni” per l’economia.

Un altro aspetto da non sottovalutare è la forza lavoro che sta cercando opportunità di occupazione all’estero, motivata non tanto dall’insicurezza quanto dalla mancata identificazione nelle scelte del governo, aggiunge la fonte, indicando come “riservisti, medici e intellettuali hanno iniziato a pensare di lasciare il Paese perché ci sono segnali che il governo vuole limitare la democrazia”. Sul lungo periodo, questo aspetto potrebbe portare a una carenza di forza lavoro specializzata nei settori sanitari o dell’high-tech. Lo scorso 22 settembre, l’Ufficio centrale di statistica ha pubblicato i dati che indicano un’allarmante tendenza al rialzo nel 2023 del numero di israeliani che trascorrono molto tempo all’estero. I numeri mostrano un aumento del numero di persone che lasciano e una diminuzione del numero di rimpatriati, e si prevede che la guerra scoppiata il 7 ottobre rafforzerà la tendenza alle partenze nel prossimo anno. Secondo i dati, nel 2023 circa 55.300 israeliani hanno lasciato il Paese per un soggiorno prolungato, con un tasso del 5,7 ogni 1.000 residenti, in leggero aumento rispetto agli anni precedenti. D’altro canto, solo circa 27.800 israeliani sono tornati in Israele durante l’anno, un tasso del 2,9 per 1.000 residenti – il che costituisce un saldo di immigrazione negativo, con circa 27.500 persone in più in partenza che in ritorno. La fascia d’età più numerosa a lasciare Israele è quella compresa tra i 25 e i 44 anni, che è anche la fascia d’età principale nel mercato del lavoro. La maggior parte di coloro che abbandonano il Paese sono single, ma nei dati sono incluse anche persone sposate e divorziate. Inoltre, un’elevata percentuale di coloro che lasciano il Paese possiede titoli accademici, soprattutto in settori come la tecnologia e l’economia.

Sarà possibile stimare tra un anno l’impatto degli eventi del 7 ottobre e della guerra scoppiata in seguito sui modelli di immigrazione a lungo termine da Israele, scrive il quotidiano “Yedioth Ahronot”, cioè a partire dal 7 ottobre 2024. Tuttavia, ora è possibile confrontare le stime degli israeliani che se ne andranno a lungo termine nei primi sette mesi del 2024 con quelli che se ne andranno a lungo termine nel 2023. Dall’analisi dei dati emerge che c’è un aumento del 58,9 per cento tra il numero degli emigranti nel 2023 – 25,5 mila persone – e il loro numero nel 2024 (dati provvisori) – 40,6 mila persone. La differenza tra gli emigranti di lunga durata ogni mese tra il 2023 e il 2024 è stata in media di circa 2,2 mila in più nel 2024.

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Fonte: https://www.agenzianova.com/news/i-segnali-di-crisi-delleconomia-mentre-netanyahu-e-determinato-a-proseguire-la-guerra-e-tenere-il-potere/

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