«Io e il mio cane Emilio, il piccolo prigioniero che mi ha insegnato ad avere fiducia»- Corriere.it


di Ilaria Gaspari

Tre anni fa con il mio fidanzato siamo andati al canile: tutti mi dicevano che non avrei dovuto prenderlo, con la mia vita randagia. L’abbiamo scelto perch era l’unico rimasto immobile dentro la gabbia. Ora non ricordo pi com’era il mondo prima che adattassi il mio sguardo al suo

Me l’avevano detto e ripetuto: non farlo. Mi avevano avvertita: non potrai mai conciliare un impegno del genere con la tua vita sregolata. Amiche, amici, parenti, persino una serie di sconosciuti molto solleciti, incrociati in giro per l’Italia lungo l’estenuante tour promozionale di un libro che avevo iniziato a scrivere per consolarmi di un amore finito. Tutti, quando si incappava nel discorso, assumevano un tono protettivo e perentorio, il tono di chi sente di doverti mettere in guardia dalla tua stessa avventatezza: non sarai mica matta, a pensare di prendere un cane, con la vita che fai? Li ascoltavo e mi dicevo che avevano ragione. Erano pi saggi di me. Ma il libro che avevo scritto per consolarmi aveva disegnato nella mia vita una traiettoria imprevista. A un certo punto, con naturalezza, come se la cosa non dipendesse nemmeno poi da me, avevo smesso di ascoltare i consigli ragionevoli.

Un desiderio che avevo nel cuore da bambina

Mi ero innamorata di nuovo, e finalmente mi permettevo di fantasticare su un desiderio che si agitava nel fondo del mio cuore da quando era un cuore di bambina; un desiderio a cui non avevo mai dato voce per paura che rimanesse deluso, ma che mi aveva tenuta sveglia in molte notti di vigilia, con la speranza segreta che la mattina di Natale l’avrebbe esaudito. Una gran scatola di cartone sotto l’albero, una scatola che si muove perch dentro non c’ una bambola n un paio di stivali, c’ un cagnolino. Ho dovuto aspettare di essere adulta, un’adulta con una vita abbastanza randagia da indurre amici e parenti a innumerevoli tentativi di dissuasione, per realizzare quel desiderio; stato un colpo di testa, una follia felice.


CI PROTEGGIAMO A VICENDA: LO STESSO CANE RIFIUTATO, DIMENTICATO, SPORCO, SPAVENTATO CHE VEDEMMO
AL CANILE, QUEL CANE CHE QUALCUNO HA RIFIUTATO
E ABBANDONATO, AMATO
IN OGNI DOVE (E VIENE OVUNQUE E SEMPRE CON ME)
Prima dell’ultimo Natale pre-pandemico

Tre anni fa, poco prima dell’ultimo Natale pre-pandemico, siamo andati al canile, il mio fidanzato e io. Era una mattina fredda e umida, pioveva a catinelle. Il canile era come lo immaginavamo; solo che molto peggio di come lo immagini, quando ci sei dentro, quando sdruccioli sul pavimento viscido, quando senti la pioggia che batte e fiuti l’odore pungente che esala dalle celle in cui sono confinati i cani, quando vedi i loro nomi appuntati accanto alle serrature e pensi che quei nomi non li pronuncia mai nessuno. Per quanto la volontaria che ci guidava, e con lei tante e tanti altri, si adoperino per migliorarle, quelle dei cani di canile restano vite recluse, in attesa. Nessuno li chiama perch hanno corso abbastanza ed ora di tornare a casa. Nessuno pu ricordare tutti quei nomi, sono troppi; nemmeno loro, i cani, li conoscono. Su qualcuna delle etichette era annotato che il cane era sotto sequestro insieme ad altri beni, mentre il legittimo proprietario scontava una pena in carcere; l’analogia era straziante, mi pesava il cuore.

I cani che uggiolavano, sbattendo contro la gabbia

I cani sentivano i nostri passi e uggiolavano, qualcuno sbatteva contro la gabbia. Sapevano, sentivano, in qualche maniera oscura, che era la loro occasione per farsi notare? Chiss. Noi questo abbiamo pensato, perch ci venuto naturale metterci al loro posto, dimenticarci che noi non siamo cani, che non eravamo noi quelli nelle gabbie. Noi cos’avremmo fatto, al loro posto? Abbiamo adottato il solo cane che al nostro passaggio era rimasto immobile, paralizzato. Da cosa, non lo sapremo mai — non sapremo mai se fosse paura, stanchezza, indifferenza. Abbiamo ipotizzato che si trattasse di una profonda afflizione; che quel cane biondo, non piccolo ma decisamente basso, quasi un golden retriever ridotto in scala — un cane-bonsai, mi ha detto arguta una signora, qualche giorno fa, fermandosi per ricoprirlo di carezze e complimenti; un cane-pony, mi ha detto una volta una bambina di forse sei anni, con una finestrella fra i denti davanti — stesse soffrendo, che avesse il cuore spezzato per un recente abbandono.

Niente microchip, niente medaglietta

A confortare la nostra tesi, la targhetta recitava “trovato vagante”: niente microchip, niente medaglietta, niente segni di riconoscimento. Eppure era abituato al contatto con gli umani; educatissimo, presumibilmente maltrattato, secondo l’educatore che abbiamo poi consultato. Abbiamo cercato di leggere i suoi sussulti e i suoi guaiti, di interpretare i suoi passi in cerca di indizi della sua vita passata, la sua prima vita; rimarranno tutte congetture oziose, illazioni. Sappiamo che non sa giocare, ci hanno spiegato che con ogni probabilit per via di qualche maltrattamento subito da cucciolo: come un bambino a cui si nega l’infanzia. Sappiamo che un cane paziente, goloso, ma non ingordo. Molto riservato, silenzioso, con improvvisi accessi di baldanza, che si sono fatti sempre pi frequenti da quando ha capito che non lo abbandoneremo. Nei primi tempi guaiolava disperato appena mi allontanavo di un passo; ora non fa una piega se resta in casa da solo. L’abbiamo chiamato Emilio, come Emilio Brentani, il protagonista di
Senilit di Svevo: perch ha, a volte, dei modi buffi da giovane vecchietto.

Noi come l’uomo preistorico. E lui accanto

Il suo nome, sull’etichetta al canile, era Stanislao: troppo lungo perch potessimo immaginare di ripeterlo ogni giorno, molte volte al giorno, di modularlo in toni e nomignoli diversi, come si fa con i nomi di chi amiamo. Mi ha insegnato tante cose, talmente tante che non riesco pi a ricordarmi come fosse il mondo che guardavo prima di provare ad adattare il mio sguardo al suo. Quando per la strada sento una sirena, nella luce blu vedo il mio cane che punta le zampe a terra, solleva il muso, tende il collo, quasi verticale, e ulula, ulula alla sirena. Le risponde, un linguaggio che mi sfugge? Ogni volta che succede mi sorprendo a pensare all’antica alleanza fra i nostri lontanissimi progenitori preistorici e i lontanissimi progenitori dei cani che oggi con sussiego ci camminano accanto, al guinzaglio. Penso al segno selvatico di quell’amicizia, ai lupi addomesticati con piccoli doni di cibo, ai lupi che permettono a quei poveretti spossati dalla veglia perenne, dall’incombenza di pericoli che li costringono a rimanere all’erta anche durante il riposo, di conoscere il sonno profondo, la sicurezza che un ululato li difender; che il branco li protegge.

Ci proteggiamo a vicenda

Ci proteggiamo a vicenda, strano a dirsi, sembra un’esagerazione ma non cos. Lo stesso cane che qualcuno ha segnalato come vagante, il cane dal manto lercio che fissava il vuoto, immobile, in una gabbia di canile, ora tutti lo vezzeggiano per la strada. Qualche volta posa con me per un ritratto fotografico, se non lo porto a una presentazione ricevo rimostranze: amato in ogni dove, eppure lo stesso cane rifiutato, dimenticato, sporco, spaventato, che abbiamo conosciuto in una mattina di pioggia, al canile. L’impegno che tutti mi paventavano come insostenibile, la fatica di organizzarmi quando parto per un viaggio, non mi pesa: molto spesso lui viene con me, il treno gli piace da matti. So che ci sono cose che non sapr mai con certezza: la sua storia passata, che gli ha spezzato il cuore. O come abbia mai potuto fidarsi di nuovo, di noi, dopo che era rimasto ferito cos – sarei capace, io, di rinunciare a tal punto alle aritmetiche della difesa? Forse no, o forse s, ma solo perch me l’ha insegnato lui.

17 dicembre 2022 (modifica il 17 dicembre 2022 | 06:46)



Fonte: https://www.corriere.it/sette/comportamenti/22_dicembre_17/io-mio-cane-emilio-piccolo-prigioniero-che-mi-ha-insegnato-ad-avere-fiducia-67bea09e-7a2c-11ed-940e-9b2491325fc5.shtml

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