La Cina dominerà anche l’eolico (e la colpa è dell’Occidente): ecco perché | Federico Rampini


Con il bisogno enorme che abbiamo di energie rinnovabili, com’ possibile che l’industria occidentale delle pale e turbine eoliche sia in profonda perdita, e costretta a licenziare?

La spiegazione terribilmente familiare: mentre la nostra burocrazia blocca tutto ci che si muove, la Cina sta cominciando a divorare anche questo settore.

Assistiamo al remake di un film gi visto con i pannelli fotovoltaici e le batterie per auto elettriche.

L’Europa scivola velocemente dalla dipendenza verso la Russia per le energie fossili, alla dipendenza verso la Cina per quelle rinnovabili. Non lo dico io, l’allarme sta scritto in un rapporto del gruppo tedesco Siemens Energy, che soprattutto attraverso la filiale spagnola Gamesa uno dei pi grandi produttori del ramo. Esiste la concreta possibilit – si legge in quel rapporto – che la transizione energetica dell’Unione europea venga gestita in Cina.

Che cosa aspettano Bruxelles e le capitali nazionali a reagire per salvare il prodotto nazionale prima che sia troppo tardi, come invece sta facendo l’Amministrazione Biden negli Stati Uniti?

Lo stato di salute delle aziende che fabbricano pale e turbine eoliche davvero pessimo. La Siemens Gamesa Renewable Energy, con sede a Madrid, uno dei leader europei per l’eolico offshore, turbine e pale installate in mare. Ha appena reso noto il suo ultimo bilancio annuo: 940 milioni di euro di perdite. In queste condizioni l’azienda ha annunciato che sar costretta a licenziare 2.900 dipendenti, cio oltre un decimo della propria manodopera.

Va perfino pi in rosso il gigante americano del settore pale e turbine eoliche, la General Electric: due miliardi di dollari di perdite annue per la sua filiale specializzata.

Se la cava solo un po’ meno peggio il leader mondiale delle turbine eoliche, Vestas Wind System, con 147 milioni di euro di perdite in un trimestre.

Stanley Reed del New York Times ha intervistato due chief executive delle aziende in questione, e il loro lamento corale. Ogni volta che vendiamo una turbina eolica perdiamo l’8% sul costo di produzione, gli ha detto il numero uno di Vestas, Henrik Andersen. Il chief executive di Siemens Gamesa, Jochen Eickholt, ha dichiarato al quotidiano americano che le aziende hanno bisogno di fare profitti per finanziare gli investimenti, diventare capaci di produrre centrali eoliche pi grandi e pi potenti, ma in questo periodo stiamo lavorando in perdita.

Le spiegazioni degli industriali toccano tasti familiari. In Europa, cos come negli Stati Uniti, si parla di lotta al cambiamento climatico, ma tanti progetti di nuove centrali eoliche sono ritardati da una miriade di pastoie burocratiche, veti amministrativi, resistenze localistiche e tutele paesaggistiche.

Un altro handicap dato dalle nuove sovrattasse sugli extra-profitti, che colpiscono anche chi genera elettricit dalle rinnovabili. Quelle tasse vanno a mangiare i profitti – se ci sono – che le aziende dovrebbero usare per finanziare nuovi investimenti.

E poi c’ la Cina. Seguendo un copione gi noto per il solare e l’auto elettrica, la Cina ha cominciato con la conquista di un ruolo dominante nei componenti necessari per fabbricare pale e turbine eoliche: gi oggi il 70% dei pezzi assemblati da un produttore europeo di turbine sono made in China.

La tappa successiva vede i giganti cinesi della fabbricazione di intere pale e turbine eoliche, affacciarsi sui mercati europei offrendo forniture a prezzi ultra-competitivi. Spesso c’ dietro una concorrenza sleale, perch gli aiuti di Stato offerti da Pechino ai suoi campioni nazionali permettono di esportare sottocosto.

Se il copione seguir ci che gi accaduto per l’energia solare, vedremo fallire alcuni big europei e la resa alla Cina sar totale. Il che significherebbe perdere il controllo sul nostro futuro energetico, un’altra volta.

L’Unione europea come reagisce a questo pericolo? Per il momento polemizzando … con gli Stati Uniti. La Commissione di Bruxelles ha preso di mira l’Inflation Reduction Act, nuova legge voluta da Joe Biden e approvata dal Congresso. A dispetto del titolo, pi che a combattere l’inflazione quella legge serve a finanziare la transizione green. Con 370 miliardi di dollari di fondi, generosa di aiuti per le energie rinnovabili. A una condizione: che i produttori siano americani o situati negli Usa con le loro fabbriche. Insomma Biden usa contro la Cina dei metodi cinesi, a base di sussidi e protezionismo.

Bruxelles per il momento sembra soprattutto indignata perch gli incentivi americani rischiano di attirare le aziende europee sul suolo Usa, a produrre sotto quella pioggia di denaro pubblico. Forse sarebbe pi urgente occuparsi dell’avanzata cinese e reagire a quella, prima che sia troppo tardi.

Se il prodotto cinese costa meno perch viene venduto in dumping (sottocosto) grazie agli aiuti di Stato, allora un dazio compensativo prelevato dall’Europa una contromisura perfettamente legale. Certo, bisogna assicurarsi che dei produttori locali siano in grado di sostituirsi ai cinesi anche nella componentistica, e il pi presto possibile. Altrimenti, in assenza di validi surrogati europei, le barriere contro i cinesi farebbero solo rincarare e rallentare la produzione delle pale e turbine eoliche.

Ma questa proprio la lezione dei dragoni asiatici che avremmo dovuto studiare da decenni: come si allevano e si irrobustiscono i campioni nazionali dell’industria per farne dei campioni mondiali. Ci sono delle obiezioni a questa riscoperta della politica industriale: i politici e i burocrati non sono di solito i pi adatti a selezionare le aziende giuste, quelle che sarannno efficienti e competitive.

Anche l’America ha avuto i suoi scandali di politica industriale, come l’azienda solare Solyndra finita in bancarotta nel 2011 dopo aver divorato dai contribuenti 535 milioni di finanziamenti (l’Amministrazione Obama dovette riconoscere gravi errori nella gestione di quegli aiuti).

La controargomentazione che tutti i miracoli economici dell’Estremo Oriente hanno avuto tra i loro ingredienti delle politiche industriali efficaci, che dovremmo studiare. D’altronde se l’alternativa spendere in assistenza, cio distribuire alla popolazione una ricchezza fragile e precaria, allora meglio usare risorse pubbliche per sostenere chi la ricchezza pu generarla, cio le imprese.



Fonte: https://www.corriere.it/oriente-occidente-federico-rampini/22_novembre_23/eolico-cinese-89169080-6b04-11ed-a6b2-6d41b7f61d74.shtml

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