la mappa delle Partecipate e le intenzioni di Meloni (che non vuole strappi)- Corriere.it

I segnali alle opposizioni per condividere alcune nomine: dalle quatto «major» (Eni, Leonardo, Enel e Poste) alle 13 «junior»
Eccolo il manuale Cencelli delle Partecipate, la griglia che il governo ha adottato per le nomine. Se sulle scelte per i vertici delle aziende di Stato è ancora (quasi) tutto in alto mare, sul peso da assegnare ad ogni incarico c’è l’accordo nella maggioranza. In ordine decrescente sono state definite le quattro «major» (Eni, Leonardo, Enel e Poste), le 21 «best»(tra cui Mps, Terna, Rfi, Trenitalia, Consip, Enav e Raiway ), e poi 16 società «premium» e 13 «junior». Per le restanti non basterebbe un volume Treccani ad elencarle. Attorno alla mappa che sembra un incrocio tra Risiko e Monopoli si fronteggiano le mire delle forze di governo e le ambizioni di chi aspira e di chi spera. «C’è la fila», sospira un ministro di Fdi: «E c’è anche la sinistra che vuole partecipare al gioco».
In realtà lo scorso mese alle opposizioni
venne fatto sapere dall’Economia che c’era l’intenzione di «condividere alcune posizioni nei Cda». Nel frattempo il Pd ha cambiato segretario e dal Nazareno oggi avvisano che «le briciole non ci interessano. Prima vogliamo sapere qual è la linea di politica industriale». Insomma, sì, ci stanno. Magari Meloni e Schlein si chiariranno via Whatsapp. Che poi questa sarà la parte meno impegnativa per la premier, inseguita da autorevoli raccomandazioni alle quali risponde sempre «non lo so»: «Anzitutto non voglio fare figuracce. E poi se qualcuno ha fatto bene, preferisco lasciarlo al suo posto».
Tradotto da chi la conosce bene, significa che «piuttosto di assegnare incarichi a manager di cui non si fida e proposti dagli alleati, Giorgia lascerà tutto come sta». Per esempio, racconta uno dei suoi fedelissimi al governo, «i vertici di Poste hanno fatto così bene che vanno rinnovati in blocco. A Eni, manco a parlarne, Descalzi non si tocca.
A Mps chi ha varato l’aumento di capitale «deve gestirlo». E infatti per la banca senese domani verrà rinnovato il ceo, Lovaglio, mentre alla presidenza andrà Maione indicato dalla Lega. Perché l’idea del «quieta non movere» di Meloni, ha delle controindicazioni: secondo gli altri partiti di governo vuol dire che FdI si intesta la scelta e dunque la sua quota di nomine diminuisce. Su questo punto più volte si è incagliata la discussione.
Intanto fuori dalle stanze dove si decide c’è la ressa, r
accontano che l’altro giorno Giorgetti, sorridendo, abbia dribblato persino un collega leghista: «Chiedi a Paganella e Bagnai. Sulle nomine loro mi hanno tagliato fuori e vogliono che metta quelli che loro mi indicano». Sarà stato un escamotage per allontanare la pressione. O forse no. Nel senso che «dopo quanto è successo ai tempi di Draghi — sussurra un maggiorente meloniano — Salvini sta mettendo Giancarlo alla prova». Una cosa è certa, nel Pd gli specialisti di nomine se ne sono accorti e chiedono «quale parte in commedia stia facendo il ministro dell’Economia».
Nella maggioranza se lo chiedono anche di Gianni Letta
, che dopo aver ripetuto ad ogni esponente del centrodestra «la divisione fa male a Berlusconi e fa male a tutti», è tornato al ruolo di gran Ciambellano del Cavaliere. Con l’incarico di gestire il dossier delle nomine. In Forza Italia i suoi detrattori scommettono che «dopo aver assecondato Berlusconi su Scaroni, farà da sé». E per una volta la tesi degli azzurri anti-meloniani coincide con quella dei massimi dirigenti meloniani. Che nutrono però ammirazione verso l’ex sottosegretario: «Certo che Gianni Letta lavora per Gianni Letta. Il suo inner circle magari si sarà ristretto ma resiste al tempo». Anche se nel governo temono che «Gianni» possa essere l’anello di congiunzione con la sinistra, «e così rischiamo di metterci in casa un compagno».
D’altronde l’altra sera il candidato a una delle quattro società «major», sostenuto dalla premier, era a cena con un ex ministro del Pd. Il fatto è che tutti conoscono tutti. E dopo la corsa per il Colle, le nomine sono il gioco di società più avvincente per gli abitanti del Palazzo. C’è chi ha chiesto di restarne fuori, come il capo del Dis Belloni, stanca di finire ogni giorno sui quotidiani. E c’è chi dalle pagine dei quotidiani potrebbe atterrare al vertice di una partecipata: Meloni, che punta sulle donne, pensa a Roberta Neri per Enav o Terna. La giostra girerà fino a maggio inoltrato.
25 marzo 2023 (modifica il 25 marzo 2023 | 07:20)
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