«La paura è una protagonista. Però in certi momenti devi metterla tra parentesi»- Corriere.it


La giornalista egiziana e fondatrice del giornale indipendente Mada Masr in visita al Corriere: «Non facciamo troppi calcoli su quanto riusciremo a sopravvivere. Ogni giorno cerchiamo di fare il nostro lavoro e di prenderci le nostre responsabilità»

Se fai la giornalista in Egitto e racconti chi era Giulio Regeni, o spieghi come la pensa Patrick Zaki, o di quant’è dura la vita dei 60mila detenuti politici, o degli affari dietro la diga del Nilo, o di chi s’arricchisce col turismo a Sharm el Sheik, se fondi un giornale indipendente come Mada Masr e diventi una giornalista libera come Lina Attalah e i suoi quaranta colleghi, ogni giorno benedici d’esser viva: «Dieci anni fa abbiamo fondato la nostra testata e onestamente pensavamo solo di sopravvivere. Sono molto sorpresa che siamo sopravvissuti».

Dieci anni durissimi: «Siamo solo online, perché la censura governativa controlla la distribuzione e noi non possiamo stampare. Nel 2017 anche il nostro sito web è stato bloccato, e siamo riusciti ad aggirare il blocco. Sopravviviamo grazie a donazioni e contributi; la gente che può pagare, paga. Arriviamo a un milione di lettori al giorno, dentro e fuori l’Egitto. Ma non è il risultato economico, quel che c’importa adesso: è garantire una buona informazione». L’unica informazione libera rimasta al Cairo: «Non facciamo troppi calcoli su quanto riusciremo a sopravvivere. Non ci pensiamo. Ogni giorno, cerchiamo di fare il nostro lavoro e di prenderci le nostre responsabilità».

Tutti i dittatori hanno una bestia nera. Putin ammazzava Anna Politkovskaja, Al Sisi deve vedersela con Lina. La giornalista egiziana più famosa: nel 2020, è stata inclusa da Time fra le cento personalità mondiali davvero influenti. La più pericolosa: una volta scrisse di un problematico figlio del presidente, spedito all’ambasciata di Mosca perché non creasse imbarazzi al babbo, e finì in galera. Quarant’anni d’età, venti d’inchieste.

Ospite a Milano di “Piazze inquiete”, serie d’incontri organizzati da Paola Caridi assieme al Premio Inge Feltrinelli, Lina ha partecipato alla riunione mattutina del Corriere
e in sala Albertini ha raccontato come si fa a resistere nello spirito di piazza Tahrir e dopo quella rivoluzione che, nel 2011, rovesciò Mubarak e sembrò portare un po’ di democrazia: «Non sono stati anni facili. Il progetto di Sisi, dal 2013 a oggi, è stato di governare il Paese senza i politici. Fare politica senza un parlamento, senza media. Dopo la rivoluzione, c’era l’idea che tutto questo potesse funzionare, che ci fosse in giro troppa politica e si dovesse in qualche modo cancellarla».

Ma la crisi economica, la pandemia, la guerra in Ucraina han cambiato le prospettive, dice Lina. E in qualche modo, aiutato il suo giornale: «La gente ha ricominciato a interessarsi di politica. E a cercare buone fonti d’informazione, a tradurre i siti internazionali. Vogliono sapere che cos’è accaduto con Regeni, perché dall’Italia si premeva per la liberazione di Zaki, che cosa c’è dietro le migliori relazioni fra Italia ed Egitto sul gas, come l’Egitto vuole diventare un hub energetico… É stato da quel momento, mentre noi raccontavamo queste cose e allargavamo la nostra presenza, che le autorità hanno realizzato che i vecchi metodi non funzionavano più. Loro hanno paura di tornare al 2011. Non vogliono un’altra rivoluzione. Nemmeno io m’aspetto che possa essercene un’altra. Ma mi aspetto esplosioni di rabbia, perché siamo tornati indietro nel rispetto dei diritti. Ricordo bene come andava nell’era Mubarak: quando l’economia precipitava, c’era sempre un’apertura politica. E viceversa: se volevano controllare la politica, davano qualche beneficio economico».

E ora, invece? «Non c’è un’apertura politica e non ci sono i benefici. É una situazione esplosiva. E ogni volta che vengo in Europa, ho sempre fretta di tornare al Cairo: è una situazione che va seguita da vicino». Traspare una certa “fatigue”, in Occidente, nel seguire le cose egiziane. «Lo capisco. La percezione che non siano tanto diverse dalla Libia o dalla Siria. Con una guerra alle porte, non mi aspetto che l’Europa se ne occupi granché. Però mi interessa guardare come vengono gestite le relazioni su alcuni temi, come i migranti. L’accordo sul gas non basta, serve la politica. Noi media raccontiamo la migrazione nelle sue forme, coi suoi drammi. Ma nei villaggi egiziani, il messaggio che passa sulle migrazioni è che sono storie di successo: chi viene in Europa trova lavoro, soldi, e tutti vogliono fare lo stesso».

E accordi come quelli del governo italiano con la Tunisia? «Non ci vedo niente di diverso da quel che succedeva in Libia. O sotto Mubarak. Gli accordi del passato hanno fermato le migrazioni? No. E perché? Perché il mare è grande. E l’idea che i governi s’accordino per controllarlo, non ferma i barconi». In nome degli affari, a volte si passa anche sopra drammi come quello di Regeni, cancellato dall’agenda del governo italiano. «Certi casi, se tu lasci correre, ti si possono ripresentare in altri modi e in altri luoghi. E poi qual è il messaggio che lanci ai cittadini italiani: che la vita non conta?».

Non è pessimista, Lina. E pensa che la rivoluzione del 2011, alla fine, abbia lasciato un’eredità: «Per mantenere il controllo, stanno mettendo tutti in prigione. Alle ultime elezioni, contro Al Sisi, c’erano tre diversi candidati: sono finiti tutti dentro. Ma vedo che dal 2011 i rapporti delle persone con le autorità, in Egitto, sono cambiati. Credo che questo rimanga e che il potere lo tema».

Quattro anni fa, il giorno che l’arrestarono, Lina prese per mano le sue colleghe e disse loro: ricordatevi, «siamo qui per scelta». Ci vuole coraggio, a fare certo giornalismo. «Non è un lavoro comodo. Si vive nel continuo disagio. E la paura è una protagonista. Però la paura in certi momenti devi metterla tra parentesi. E pensarci dopo».

19 settembre 2023 (modifica il 19 settembre 2023 | 19:40)



Fonte: https://www.corriere.it/esteri/23_settembre_19/linta-attalah-giornalismo-in-egitto-la-paura-una-protagonista-468a9534-570f-11ee-a17f-69493a54d671.shtml

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