La Russia sta per disintegrarsi come l’Urss? I segnali e le incognite- Corriere.it


Gli esperti: «Tutti gli imperi alla fine si frantumano. Pensare che per quello di Putin — e per la Russia — sarà diverso è solo un altro difetto di immaginazione»

Nel momento in cui, sul terreno ucraino, l’Armata russa sembra poter riconquistare posizioni, nel settore di Soledar e Bakhmut, in Donbass, parlare di possibile dissoluzione della Federazione russa può sembrare wishful thinking, uno scambiare per realtà i propri desideri. Eppure, il tema ricorre. Ne abbiamo scritto sulla Rassegna del 23 novembre. Guido Santevecchi ha segnalato che, secondo quanto hanno rivelato alcune fonti cinesi al Financial Times, «a Pechino si sono convinti che “Putin è pazzo” e che la sua Russia uscirà dal pantano ucraino ridotta a “una potenza minore”». Federico Fubini, parlando delle migliaia di soldati russi, soprattutto delle regioni più lontane da Mosca, mandati a morire in Ucraina, ha aggiunto che «le minoranze ora iniziano a reagire». E Danilo Taino ha ricordato che gli «scontri di potere e proteste sociali in Russia» sono risultati, secondo i 540 esperti contattati dal Center for Preventive Action, una delle sette crisi più probabili del 2023.

Ancora più espliciti sono stati Casey Michel, in un intervento sul Financial Times, e Janusz Bugajski, su Politico Europe. Entrambi hanno usato la parola «disintegrazione». Ed entrambi tracciano un parallelo con il crollo dell’Unione Sovietica. In pochi, ricorda Michel, pronosticarono il collasso dell’Urss, anche se le crepe nell’edificio non mancavano: la guerra fallimentare in Afghanistan, la stagnazione economica, le difficoltà nel controllare l’immenso territorio. «Ora, con il Cremlino che dissangua ancora una volta uomini e risorse in una guerra straniera, e di nuovo cede sotto un’economia in stato di torpore, i politici occidentali rischiano di essere colti di sorpresa una seconda volta. Proprio come un difetto di immaginazione ha accecato l’Occidente di fronte all’imminente fine dell’Unione Sovietica, così lo stesso difetto — e l’incapacità o la riluttanza a comprendere la Russia come l’impero coloniale che rimane — sta accecando i politici occidentali sulle potenzialità di una dissoluzione della Federazione Russa».

Michel non intende sostenere che tale dissoluzione sia imminente, ma è convinto che non la si possa più escludere dall’orizzonte delle possibilità: «Niente di tutto questo significa che la disintegrazione territoriale dello Stato russo sia inevitabile, o addirittura all’orizzonte immediato. Ma con le vittime che continuano ad accumularsi e con il revanscismo messianico del presidente Vladimir Putin di cui non si intravede la fine, l’eventuale scioglimento della Federazione Russa non può più essere ignorato. I politici occidentali devono iniziare a prepararsi per questa possibilità prima piuttosto che dopo». Anche perché, come abbiamo più volte argomentato anche in questa Rassegna, un eventuale tracollo avrebbe effetti difficili da prevedere e, potenzialmente, destabilizzanti a livello globale.

Michel invita comunque a riflettere sul fatto che anche la Federazione russa è una costruzione di origine coloniale e «l’invasione dell’Ucraina ha in effetti
fatto esplodere il mito della Russia unita di Putin
, anche perché il Cremlino ha preso di mira, per la coscrizione, nazio
nalità specifiche, come sakha, tartari e ceceni». Per questo starebbero aumentando, alla periferia del Paese, le voci critiche che parlano di «imperialismo e colonialismo e di discriminazioni razziali ed etniche» del Cremlino. La conclusione di Michel è che «la guerra di Putin in Ucraina rischia di trasformare la Russia in uno Stato fallito con confini incontrollati. Ciò offre alle nazionalità colonizzate dalla Russia e gettate nelle fauci del conflitto la possibilità di rivendicare sovranità e libertà».

Non sorprenderà che Bugajski, membro della Jamestown Foundation e autore di un libro appena uscito intitolato Failed State: A Guide to Russia’s Rupture, sia sostanzialmente d’accordo con lui. E lo dice fin dalle prime righe del suo intervento: «Stiamo attualmente assistendo a una rivoluzione in corso nella sicurezza globale a cui i responsabili politici occidentali sono chiaramente impreparati: l’imminente collasso della Federazione Russa
». Bugajski ne è talmente convinto da ritenere irrealistiche le proposte di vie d’uscita dal conflitto ucraino «non umilianti» per Mosca e in grado di garantire il mantenimento dell’integrità del Paese.

Troppo tardi, ormai, a suo avviso: «La Russia è uno Stato fallito. Non è stata in grado di trasformarsi in uno Stato-nazione, in uno Stato civile o persino in uno stabile Stato imperiale. È una federazione solo di nome, poiché il governo centrale persegue una politica di omogeneizzazione etnica e linguistica e nega ogni potere alle 83 repubbliche e regioni del Paese. Tuttavia, l’ipercentralizzazione ha messo in luce le molteplici debolezze del Paese, tra cui un’economia in contrazione schiacciata dalle sanzioni internazionali; le sconfitte militari in Ucraina rivelano l’incompetenza e la corruzione della élite al potere e l’inquietudine in numerose regioni per i budget in calo».

Bugajski sembra non darsi troppa pena per le incognite che una eventuale dissoluzione della Federazione russa, con il distacco di molte repubbliche di confine, comporterebbe. E invita, piuttosto, a non sottovalutarne i benefici. «Con Mosca che i ripiega verso l’interno, la sua capacità di aggressione verso l’esterno diminuirà. E in quanto Stato superstite (rump State, ossia rimanenza di uno che fu molto più esteso, ndr), sottoposto a intense sanzioni internazionali e privato della sua base di risorse in Siberia, avrà capacità grandemente ridotte di attaccare i vicini. Dall’Artico al Mar Nero, il fronte orientale della Nato diventerà più sicuro; mentre Ucraina, Georgia e Moldavia riconquisteranno i loro territori occupati e chiederanno l’integrazione dell’Unione Europea e della Nato senza timore della reazione della Russia. Anche i Paesi dell’Asia centrale si sentiranno sempre più liberi e potranno rivolgersi all’Occidente per collegamenti energetici, di sicurezza e economici. La Cina sarà in una posizione più debole per espandere la sua influenza poiché non potrà più collaborare con Mosca e nuovi Stati filo-occidentali potranno emergere dall’interno della Federazione Russa, migliorando la stabilità in diverse regioni dell’Europa e dell’Eurasia».

A noi pare che il wishful thinking non manchi in questa visione di Bugajski. Lui, però, ribalta l’accusa. Il vero wishful thinking, a suo avviso, è sperare, come fanno molti in Occidente, «che possano essere stabilite benefiche relazioni con un Cremlino post Putin, o che i liberali possano democratizzare l’impero». La sua conclusione è che «l’Occidente ha commesso un grave errore quando ha creduto che il crollo del comunismo sovietico significasse la fine dell’imperialismo russo
. E, visto che gli Stati imperiali crollano invariabilmente quando superano il limite e quando le pressioni centrifughe sono alimentate da difficoltà economiche, risentimenti regionali e risvegli nazionali, ora deve evitare di ripetere quell’errore, questa volta presumendo erroneamente che l’attuale impero sia permanente».

Conclusione praticamente identica a quella di Michel: «Tutti gli imperi alla fine si frantumano. Pensare che per quello di Putin — e per la Russia — sarà diverso è solo un altro difetto di immaginazione». Che la si consideri una fortuna o una sciagura, forse conviene iniziare a prendere l’ipotesi in seria considerazione.

Questo articolo è apparso per la prima volta sulla Rassegna Stampa, la newsletter che il Corriere riserva ai suoi abbonati. Per riceverla occorre iscriversi a Il Punto, di cui Rassegna Stampa è uno degli appuntamenti: lo si può fare qui. Per abbonarsi — in questi giorni con una offerta speciale — si può andare qui.

13 gennaio 2023 (modifica il 13 gennaio 2023 | 10:43)



Fonte: https://www.corriere.it/esteri/23_gennaio_13/russia-fine-impero-facae234-9314-11ed-8552-17ed6be25c8a.shtml

Back to top button