nominato il nuovo premier, Israele espande la zona cuscinetto e la Turchia avanza contro i curdi
La “nuova Siria” del dopo-Assad volta pagina con la nomina di Muhammad al Bashir a capo del governo transitorio, il primo libero dall’influenza del regime dal 1971. Al Bashir, ex leader del Governo di salvezza siriano, è stato designato dal movimento Hayat Tahrir al Sham (Hts), protagonista della caduta del regime. Nato nel governatorato di Idlib nel 1983, laureato in ingegneria elettronica e in diritto islamico, Al Bashir dovrà guidare una delicata fase di transizione. “Il nuovo governo inizierà a lavorare immediatamente dopo la sua formazione”, ha dichiarato Hts. La sfida principale sarà consolidare l’autorità di un esecutivo che punti alla ricostruzione e all’inclusione.
Nel frattempo, Israele ha intensificato le operazioni militari in Siria, assumendo il controllo della zona cuscinetto sulle Alture del Golan per la prima volta dal 1974. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno colpito obiettivi strategici, tra cui presunti depositi di armi chimiche e missili a lungo raggio, per evitare che finiscano nelle mani di gruppi ostili. “Il nostro unico interesse è la sicurezza di Israele e dei suoi cittadini,” ha dichiarato il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar. La mossa israeliana, che include il dispiegamento di carri armati Merkavà nella zona di Quneitra e attacchi aerei su Damasco, ha provocato la dura condanna della Giordania, che ha parlato di “flagrante violazione del diritto internazionale”. I militari israeliani si trovano ora sulla cosiddetta Linea Alpha, all’interno della zona demilitarizzata, per la prima volta da quando è stato firmato l’Accordo sul disimpegno tra Israele e Siria del 1974, dichiarato “decaduto” dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Lo Stato ebraico è ora ufficialmente impegnato su tre fronti militari: Gaza, Libano e Siria. Il capo dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, ha elogiato le operazioni ma criticato la retorica del premier Benjamin Netanyahu, definendola “irresponsabile e controproducente”. Le forze di pace delle Nazioni Unite in Siria, da parte loro, al momento rimangono in posizione all’interno della zona cuscinetto demilitarizzata, anche dopo che le forze di difesa israeliane hanno annunciato di essersi dispiegate nell’area dopo la caduta del regime di Bashar al Assad. Un portavoce delle Nazioni Unite ha detto all’emittente “Cnn” che il personale Onu “è lì e sta facendo il suo lavoro, come ieri e nelle giornate precedenti”. Il funzionario ha aggiunto che le forze di pace rimarranno in posizione fino a che non ci sarà un cambiamento all’interno del mandato della missione da parte del Consiglio di sicurezza.
Intanto, nel nord della Siria, l’Esercito nazionale siriano (Ens), sostenuto dalla Turchia, ha annunciato la conquista di Manbij, sottraendola alle Forze democratiche siriane (Fds) a guida curda. La città è di importanza strategica, trovandosi a 30 chilometri dal confine turco e fungendo da nodo logistico e commerciale. L’Amministrazione autonoma curda, legata alle Fds, ha negato la caduta della città e denunciato una campagna di disinformazione volta a screditare la resistenza locale. “Respingiamo i tentativi di distorcere la realtà e ribadiamo il nostro impegno a difendere i valori della nostra popolazione,” ha dichiarato l’Amministrazione autonoma. In questo contesto, il Partito dell’unione democratica (Pyd) ha lanciato un appello alla calma, al dialogo e alla tolleranza. “Chiediamo ai siriani di promuovere la cultura della tolleranza e di respingere l’odio, per costruire una Siria basata su libertà, democrazia e giustizia,” si legge in un comunicato.
La caduta del regime di Assad ha riacceso le speranze di ritorno per milioni di rifugiati siriani. Decine di loro si sono radunati presso il valico di Bab al Hawa, al confine tra Turchia e Siria, chiedendo di poter rientrare. “Grazie a Dio, la guerra è finita,” ha dichiarato un rifugiato intervistato dall’agenzia curdo-irachena “Rudaw”. Tuttavia, l’Unione europea ha ribadito che “non ci sono ancora le condizioni per ritorni sicuri, volontari e dignitosi,” come affermato dal portavoce della Commissione europea per la politica estera. Secondo le Nazioni Unite, circa 7,2 milioni di persone sono sfollate all’interno del Paese, mentre oltre 5 milioni si trovano all’estero. Le organizzazioni internazionali avvertono che la stabilità a lungo termine sarà cruciale per garantire un ritorno sostenibile.
La caduta di Assad ha messo in evidente difficoltà la Russia, principale alleata del regime, e ha sollevato interrogativi sul futuro delle sue basi militari in Siria, Tartus e Khmeimim. Entrambe sono fondamentali per le operazioni navali e aeree russe nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Mosca ha avviato colloqui con i nuovi attori al potere, ma la situazione resta critica. Fonti russe riferiscono di evacuazioni parziali e di scontri vicino alle basi. “È prematuro parlare del mantenimento della nostra presenza militare in Siria,” ha dichiarato Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino. Mosca si dice pronta a garantire la sicurezza delle sue installazioni, ma molti osservatori ritengono che la stabilità delle basi dipenderà dalle trattative con Ankara, sponsor principale di Hayat Tahrir al Sham.
Gli Stati Uniti, da parte loro lavoreranno con “tutti i gruppi” presenti in Siria dopo la caduta del regime del presidente Bashar al Assad. Lo ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, parlando sull’emittente “Cbs”. “I gruppi di ribelli per ora stanno dicendo tutte le cose giuste, anche quelli che sono stati designati come organizzazioni terroristiche: la domanda ora è cosa faranno per migliorare la situazione nel Paese”, ha detto, facendo riferimento all’incertezza sul futuro della Siria dopo la caduta del regime di Damasco. Intervenendo anche su “Abc”, Sullivan ha aggiunto che la caduta di Assad è “positiva”, anche se pone “rischi e incertezze su cosa accadrà dopo”.
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