nuova minaccia alle relazioni con il Brasile
Iniziato sabato 16 novembre, “l’assedio” delle forze di sicurezza del Venezuela all’ambasciata argentina a Caracas sta per “compiere” una settimana. Lo scrive il politologo Pedro Urruchurtu Noselli, uno dei sei attivisti che da marzo si sono trasferiti nella sede diplomatica dichiarandosi “perseguitati politici” dal governo di Nicolas Maduro. Un assedio iniziato con la presenza, peraltro non inedita, di mezzi e agenti di polizia nei pressi della Residenza, proseguito – denunciano le opposizioni – con il furto dei fusibili e il blocco all’ingresso del camion cisterna, privando il personale di acqua e corrente elettrica. Un caso emblematico nell’attuale crisi in Venezuela, perché al di là degli abusi denunciati dalle opposizioni, entrano in gioco delicati equilibri della politica regionale. La sede diplomatica è infatti sotto la custodia del governo del Brasile e le continue pressioni mettono anche a rischio la relazione con una delle poche capitali ancora potenzialmente in grado di sostenere le scelte del governo venezuelano.
Il Brasile ha assunto la tutela dell’ambasciata e del personale ospitato, nonché quella degli interessi degli argentini in Venezuela, dopo la rottura dei rapporti diplomatici tra Buenos Aires e Caracas. Una mossa decisa il 29 luglio in risposta alle critiche che il governo di Javier Milei faceva alla proclamazione di Maduro come vincitore delle presidenziali tenute il giorno prima, senza però che siano mai stati esibiti i dati disaggregati e verificabili del voto. Forte di un canale allora aperto di comunicazione con il governo venezuelano, il Brasile – nonostante le distanze personali e politiche tra Milei e Luiz Inacio Lula da Silva – offriva all’Argentina la possibilità di rappresentare i suoi interessi nel paese caraibico. A inizio settembre, però, il governo venezuelano si dichiarava “obbligato” a revocare il permesso concesso al Brasile, contestando – una volta di più -, la presenza nella sede di presunti pianificatori di attentati.
Il Brasile non faceva però venir meno la custodia, ricordando che sarebbe spettato a Buenos Aires il compito di nominare un altro Paese in grado di rappresentare i propri interessi. Ma l’iniziativa del governo Maduro, unita a un’altra offensiva della polizia nei pressi dell’ambasciata – con tanto di blocco in tutto il quartiere -, avrebbe secondo alcuni analisti sortito il suo effetto: il fatto che le autorità si mostrassero pronte ad assumersi il rischio di una violazione dell’immunità dei locali avrebbe convinto il leader oppositore, Edmundo Gonzalez Urrutia, da mesi ospite in segreto dell’ambasciata dei Paesi Bassi, a chiedere ed ottenere l’esilio in Spagna. L’ex diplomatico – che aveva appena ricevuto notizia di un mandato d’arresto per diversi presunti reati contro la sovranità e le istituzioni – lasciava di fatto dopo poche ore il Paese, al termine di una trattativa convulsa svolta dell’ambasciata spagnola a Caracas, con contorni ancora non del tutto chiari.
Nel corso delle settimane successive alle presidenziali, il Brasile ha cercato assieme alla Colombia e in parte al Messico margini per una mediazione che permettesse al Paese di risolvere la crisi in autonomia, tramite un dialogo tra governo e opposizioni, e senza pressioni esterne. Lula, che aveva ricevuto da Maduro la promessa “personale” che sarebbero stati resi noti pubblicamente i dati della sua vittoria alle elezioni, era stato molto più tiepido di tanti altri governi nel denunciare possibili “frodi” delle autorità elezioni così come le “persecuzioni” degli oppositori. Visti chiusi tutti gli spazi di manovra e disattesa la promessa di pubblicare lo scrutinio, Brasilia faceva sapere che non avrebbe riconosciuto il governo Maduro, il 10 gennaio 2025, aprendo una piccola crisi che, almeno in superficie, sembra ora superata.
Le forze di sicurezza erano tornate a presidiare la sede diplomatica argentina nelle ore in cui il ministro dell’Interno, Diosdado Cabello, denunciava l’esistenza di un nuovo tentativo di colpo di Stato orchestrato da potenze straniere con il contributo determinante degli oppositori legati alla leader di Vente Venezuela, Maria Corina Machado. Con vari messaggi pubblicati sulle reti sociali, gli attivisti hanno descritto le varie fasi dell’assedio, denunciando le possibili violazione della Convenzione di Vienna: se è vero che i locali della Residenza non sono stati sin qui violati, la “pace della missione” risulta turbata dalla presenza costante delle forze di sicurezza appena fuori le mura, mentre la privazione di acqua e corrente elettrica incide direttamente sulla “dignità” dell’ambasciata. Tutti temi divenuti oggetto di ripetute denunce da parte di capitali straniere e organismi internazionali.
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