Oggi le elezioni presidenziali in Somaliland, il presidente Abdi cerca un secondo mandato
Più di un milione di elettori si recheranno alle urne in Somaliland oggi, mercoledì 13 novembre, per eleggere il prossimo presidente dell’autoproclamata repubblica somala, non riconosciuta dal governo federale di Mogadiscio. Sono tre i candidati in lizza per la presidenza. Tra questi il presidente in carica Muse Bihi Abdi, 76 anni, leader del partito Pace, unità e sviluppo, noto anche semplicemente come Kulmiye (“Solidarietà”). Abdi, eletto per la prima volta nel 2017, punta ad un secondo mandato per consolidare la fragile democrazia della regione, a stimolare la crescita economica e a ottenere il riconoscimento internazionale che lo Stato separatista chiede da 33 anni. A sfidare il presidente uscente saranno Abdirahman Mohamed Abdullahi, noto come “Irro”, del partito Waddani, e Faisal Ali Warabe, del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Ucid). Quelle di mercoledì saranno le quarte elezioni presidenziali in Somaliland da quando la regione si è staccata dal resto del Paese, in seguito al crollo del regime di Siad Barre nel 1991. In quello stesso anno il territorio dichiarò l’indipendenza, ma non ottenne mai il riconoscimento internazionale.
La vigilia del voto è stata caratterizzata da aspre tensioni, culminate domenica scorsa con l’annuncio da parte del vice di Abdi, Abdirahman Saylici, di sostenere pubblicamente la candidatura di Irro. “Non ci si può fidare di Muse Bihi per quanto riguarda la nazione; un tempo ero il suo più stretto alleato, eppure ha rinnegato gli impegni che avevamo giurato di rispettare”, ha affermato il Saylici nel motivare la sua decisione. “Invito il popolo del Somaliland a unirsi al movimento di trasformazione guidato dal partito Waddani e dal suo candidato presidenziale, Abdirahman Irro”, ha quindi aggiunto. La mossa di Saylici, che per 14 anni ha servito vicepresidente, rischia d’infliggere un colpo decisivo al presidente Muse, che in vista del voto si trova ad affrontare un fronte unito di élite politiche, un diffuso malcontento pubblico e una crescente opposizione che mette a serio rischio la sua rielezione.
Il voto avviene in un momento di alta tensione tra le autorità di Hargheisa e il governo federale di Mogadiscio a causa del controverso accordo marittimo firmato lo scorso primo gennaio fra Etiopia e lo Stato separatista somalo. L’accordo garantirebbe all’Etiopia un accesso, per almeno 50 anni, a 20 chilometri della costa del mar Rosso del Somaliland, in cambio del potenziale riconoscimento dell’indipendenza, che la Somalia considera una violazione della sua sovranità e integrità territoriale. L’accordo ha mandato su tutte le furie il governo di Mogadiscio, che considera il Somaliland parte del suo territorio nazionale e dunque nullo il memorandum sul piano giuridico. La questione è stata al centro della campagna elettorale dei tre candidati alla presidenza. Il presidente uscente Abdi, da parte sua, ha promesso che l’accordo con l’Etiopia sarà presto finalizzato. “Noi siamo liberi, siamo pronti a implementare il memorandum d’intesa, e stiamo aspettando dalla parte etiope che possiamo andare avanti con questo. L’Etiopia ha bisogno di accesso al mare, e noi abbiamo bisogno di riconoscimento, e questo memorandum soddisfa queste esigenze”, ha dichiarato Abdi, contribuendo ad acuire le già tese relazioni con il governo centrale di Mogadiscio.
Più morbida la posizione espressa da Irro, candidato del partito Waddani, che per oltre undici anni è stato anche presidente della Camera dei rappresentanti della camera bassa del parlamento del Somaliland, il quale ha annunciato l’intenzione di riprendere i colloqui con la Somalia. “Non è stata una nostra scelta quella di parlare con la Somalia perché il nostro obiettivo è sempre stato ottenere il riconoscimento, ma la comunità internazionale ci ha esortato a dialogare. Se sarò eletto, riprenderò i colloqui se l’interesse del Somaliland è quello, e allo stesso tempo esamineremo i precedenti colloqui falliti”, ha detto in una recente intervista concessa a “Voa Afrique”. L’altro candidato, Warabe, ha affermato da parte sua che, se sarà eletto, cercherà di ottenere il riconoscimento dell’indipendenza del Somaliland attraverso l’istituzione di un governo di unità nazionale. “Il ritorno di Bihi (Abdi), che è stato al potere per sette anni, e del suo partito, che è al potere dal 2010, non è un’opzione per gli elettori del Somaliland. Se sarò eletto, guiderò il Somaliland verso il riconoscimento e una strada più prospera”, ha affermato.
Quelle di oggi saranno le quarte elezioni presidenziali dirette in Somaliland dal 2003. Il voto, originariamente previsto per il 2022, era stato posticipato dapprima al 2023, successivamente a quest’anno, in seguito a una controversa estensione del mandato di Abdi da parte della Camera alta del parlamento di Hargheisa. In quel frangente, la Commissione elettorale nazionale del Somaliland aveva motivato la decisione con non meglio precisati “motivi di tempo, tecnici e finanziari”, scatendando le reazioni infuriate dei partiti di opposizione. Tra i motivi del rinvio c’era stata anche la ripresa del conflitto di lunga data a Las Anod, il capoluogo della regione di Sool, tra l’esercito nazionale del Somaliland e le forze Khaatumo Ssc (acronimo che si riferisce alle regioni di Sool, Sanaag e Cayn), queste ultime favorevoli a una riunificazione con il governo federale della Somalia. Contesa dal Somaliland e dal vicino Stato semi-autonomo del Puntland, Las Anod ospita il clan Dhulbahante, che con le sue milizie si è dichiaratamente scostato dalle rivendicazioni separatiste di Hargheisa, avviando dal 2009 un dialogo con Mogadiscio per collegare – almeno in parte – il suo territorio alla gestione federale.
Da quando ha autoproclamato la sua indipendenza, nel 1991, al potere in Somaliland c’è stato l’influente clan Isaaq, che ha optato in modo schiacciante per la secessione dal resto della Somalia. Da allora i colloqui con Mogadiscio, che si oppone fermamente al riconoscimento internazionale di Hargheisa, si sono svolti a intermittenza tra il 2012 e il 2020, ma non hanno finora prodotto risultati concreti. Nonostante ciò, il Somaliland ha un governo e delle istituzioni funzionanti, un sistema politico che ha consentito trasferimenti democratici di potere tra partiti rivali, una propria moneta, un proprio passaporto e dispone di forze armate autonome. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’organizzazione non governativa statunitense Freedom House, che valuta la condizione dei diritti politici e delle libertà civili in tutto il mondo, negli ultimi anni il Somaliland ha tuttavia subito un’erosione dei diritti politici. “Giornalisti e personaggi pubblici subiscono pressioni dalle autorità. I clan delle minoranze sono soggetti a marginalizzazione politica ed economica e la violenza contro le donne rimane un problema serio”, afferma il rapporto.
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