Ravenna. L’inaugurazione di Palazzo Guiccioli, Museo Byron e del Risorgimento. Sabato 30 novembre l’apertura al pubblico
Al Teatro Alighieri di Ravenna si è tenuta questa mattina, venerdì 29 novembre, in un clima di commozione e di grande soddisfazione, la cerimonia di inaugurazione del Museo Byron e del Risorgimento. Dopo i discorsi ufficiali in teatro, il taglio del nastro e la visita al complesso museale di Palazzo Guiccioli in via Cavour. L’apertura al pubblico è prevista invece per domani sabato 30 novembre alle ore 10 (fino alle 18) e negli stessi orari domenica 1° dicembre (sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre ingresso gratuito fino a esaurimento posti disponibili: prenotazione obbligatoria sul sito www.palazzoguiccioli.it).
Palazzo Guiccioli è chiuso il lunedì, quindi riaprirà al pubblico martedì 3 dicembre e sarà poi sempre aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18. Dal 3 dicembre è attiva la biglietteria, la Taverna Byron inaugurerà invece venerdì 7 dicembre.
Galleria fotograficaA Ravenna apre Palazzo Guiccioli, Museo Byron e del Risorgimento
Alla cerimonia in teatro ci sono stati gli interventi di un commosso Ernesto Giuseppe Alfieri, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e dell’Italian Byron Society, di Antonio Patuelli, Presidente del Gruppo Bancario La Cassa di Ravenna ed ideatore del progetto, del presidente della Regione Emilia-Romagna e sindaco di Ravenna Michele de Pascale, del professor Sandro Rogari, docente di Storia Contemporanea all’Università di Firenze di cui è stato anche Pro Rettore e del professor Diego Saglia, docente di Letteratura inglese all’Università di Parma e Vicepresidente dell’Italian Byron Society.
Erano presenti fra gli altri il professor Cosimo Ceccuti, Presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia e Stefania Craxi, oltre al direttore generale Nicola Carnovale, della Fondazione Craxi che mettono a disposizione parte delle loro preziose collezioni per il Museo del Risorgimento. La giornata inaugurale ha visto la presenza dei soci fondatori della Italian Byron Society, recentemente costituita con sede a Ravenna, ovvero, oltre ai Presidenti Alfieri e Patuelli, Donatino Domini, Claudia Giuliani, Giancarlo Bagnariol, Mirella Falconi Mazzotti, Diego Saglia e Gregory Dowling. Le visite al Museo è stata guidata da Alberta Fabbri, Direttrice del Museo, Donatino Domini, coordinatore dei Comitati scientifici del Museo, assieme a Claudia Giuliani, dall’ingegner Maurizio Scarano e dall’architetto Patrizia Magnani della direzione lavori, dalla restauratrice Ada Foschini, dagli esperti di Studio Azzurro che hanno creato le tecnologiche narrazioni immersive nelle stanze del Museo e di Goppion che ha curato le vetrine e da Graziella Gardini Pasini per il Museo delle Bambole.
Ernesto Giuseppe Alfieri ha dato lettura di alcuni passi di una lettera di Robin, 13° Lord Byron, che non ha potuto essere presente per una concomitante conferenza internazionale sul suo avo che si sta tenendo in Giappone. Il presidente della Fondazione ha parlato di “magnifico recupero di Palazzo Guiccioli” e di “un sogno nato tanti anni che finalmente prende corpo” con il complesso museale che vede intrecciarsi “la vicenda ravennate di Byron con la storia del nostro Risorgimento”. Un sogno che si deve al presidente della Cassa Antonio Patuelli.
Il professor Sandro Rogari, docente di Storia Contemporanea all’Università di Firenze, ha parlato di “colossale impresa” e del valore di questo Museo Byron e del Risorgimento che va in controtendenza, “perché purtroppo oggi i giovani sono molto disattenti alla cultura storica e vivono nel presentismo. Quest’opera dunque contrasta con la cultura del nostro tempo e con la tendenza del presentismo, molto nefasta per le nuove generazioni.” Ha aggiunto che si tratta di un museo di “nuova concezione e immersivo” capace di far rivevere ai visitatori le passioni del tempo passato, dall’albero della libertà di epoca rivoluzionaria all’epopea garibaldina.
Antonio Patuelli ha parlato soprattutto del rapporto fra Byron e Dante, che fu di grande ispirazione per il romantico inglese. Un rapporto che si concretizzò nell’opera La Profezia di Dante scritta da Byron a Ravenna in versi d’impronta dantesca e in cui il Dante di Byron parla del futuro dell’Italia, con un inno alla libertà e all’indipendenza del paese. Byron parla attraverso Dante e si identifica con il Sommo Poeta, entrambi esuli ed entrambi campioni della causa della libertà.
Michele de Pascale, presidente della Regione e per pochi giorni ancora sindaco di Ravenna, ha sottolineato che con Palazzo Guiccioli diventa ancora più ricca e importante la dotazione museale della città insieme all’apertura del Museo Classis e del Museo Dante. Si tratta di un’opera importante per la vita del centro della città con risvolti significativi per la cultura e il turismo. Il sindaco ha ringraziato la Cassa e la Fondazione per il loro impegno per Ravenna e ha voluto enfatizzare il rapporto fra il primo e il secondo Risorgimento italiano, ricordando che Ravenna fu la provincia che diede più voti alla Repubblica dopo la Liberazione dal nazifascismo e dopo la guerra.
Infine Diego Saglia dell’Università di Parma, rappresentante in Italia della Byron Society, ha raccontato alcuni passi salienti della presenza di Byron a Ravenna non mancando di mettere in rilievo anche il carattere scanzonato del poeta che a un amico confessa “vado a Ravenna a cornificare un conte papalino nella sua stessa casa”. Il conte era naturalmente l’anziano Alessandro Guiccioli marito della contessina Teresa, amante bella, colta e rumorosa del poeta. Dopo avere ricordato gli amori passionali di Byron – passioni consumate, sia femminili che maschili – Saglia ha sottolineato anche l’amore di Byron per la libertà, per l’ambiente e gli animali, il suo essere a un tempo tormentato e sarcastico, malinconico e graffiante, libertino e mai ipocrita.
INFO SUL COMPLESSO MUSEALE – Biglietto unico musei: intero 10 euro, ridotto 8 euro, ridotto giovani (fino a 26 anni) 5 euro, ragazzi (fino a 11 anni) omaggio. Prevendite: biglietteria Palazzo Guiccioli, online www.palazzoguiccioli.it e circuito vivaticket. Orari dei tre musei: dalle 10 alle 18. Giorno di chiusura: lunedì.
SCHEDA – IL MUSEO BYRON
In Palazzo Guiccioli si amarono. E l’amore fra Lord Byron e Teresa segnò il destino del poeta-simbolo del Romanticismo, la cui creazione artistica giunse a pienezza proprio a Ravenna. Qui Byron compose Don Juan, l’ultimo canto del Childe Harold’s Pilgrimage, Marino Faliero, The Prophecy of Dante, The Two Foscari, Sardanapalus. A Ravenna i due volti dell’esistenza di Byron – il grande amante e l’amico dei patrioti, il libertino e l’idealista – si incontrano; oltre questo spartiacque, è vicinissima Missolungi, dove muore a soli trentasei anni. Il luogo dove amò e creò ora è un museo a lui dedicato.
La straordinaria rilevanza di Palazzo Guiccioli è confermata e amplificata dalla sua elezione a sede italiana della Byron Society, destinata a fare del palazzo non solo meta di ogni pellegrino sulle tracce del poeta inglese ma anche punto di riferimento negli studi byroniani, sposando dunque la ricerca all’attività museale. La Byron Society è presente in oltre 40 paesi. L’atto costitutivo della Italian Byron Society è stato sottoscritto per la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna dal suo presidente, Ernesto Giuseppe Alfieri; per la Italian Byron Society, dai referenti italiani Diego Saglia dell’Università di Parma, e da Gregory Dowling dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Presidente della neonata società è lo stesso Ernesto Giuseppe Alfieri.
Se in Byron letteratura e vita si confondono, il suo museo a Ravenna non può che essere, nel progetto intermediale di Studio Azzurro, il racconto del massimo genio poetico del secolo (tale lo considerava Goethe), del viaggiatore irrequieto in grand tour, dell’eroe fatale, del dandy dall’indefinita bellezza e dalle passioni fluide, del ribelle che rifiutò le convenzioni sociali e morali, dell’amico dei patrioti, dell’uomo che visse secondo gli ideali della sua poesia.
La rivoluzione interiore di Byron inizia con l’incontro con i coniugi Guiccioli a Venezia ed entra nel vivo a Ravenna, dove il trentunenne poeta arriva il 10 giugno 1819; alloggia prima all’Albergo Imperiale nei pressi della Tomba di Dante, poi in un appartamento a Palazzo Guiccioli. A inizio dell’anno seguente ha affittato cinque stanze nel palazzo. All’epoca è già celebre per la sua poesia quanto per la sua scandalosa condotta – motivo del suo auto-esilio dall’Inghilterra. La relazione con Teresa, iniziata già a Venezia, continua a Ravenna, dove il cavalier servente della contessina si immerge nella vita sociale: balli, teatro, conversazioni ma anche lunghe cavalcate nella pineta.
Nell’agosto del 1820 si affilia alla Carboneria, ma l’anno seguente, con il fallimento dei moti in Romagna, Pietro e Ruggero Gamba sono esiliati; Teresa, già separata dal marito, li raggiunge. Byron esita ad abbandonare Ravenna, ma infine si ricongiunge all’amata con cui vive prima a Pisa e poi a Genova. Nel 1823 infine salpa per la Grecia, dopo aver convinto Teresa a tornare col padre in Romagna. Teresa non lo rivedrà mai più, perché Byron muore a Missolungi il 19 aprile del 1824, forse a causa di una febbre reumatica. È Pietro Gamba a riportarne le spoglie in Inghilterra, dove è sepolto nei pressi di quella che fu la dimora di famiglia a Newstead Abbey (essendogli stata negata l’inumazione a Westminster). Teresa Gamba invece ebbe altri mariti e altri amanti, ma di Byron fece un idolo: duecento anni dopo la morte del poeta, i ricordi e cimeli d’amore raccolti e custoditi da Teresa rappresentano il cuore delle collezioni del Museo Byron.
Ogni sala del Museo Byron coniuga collezione e narrazione – gli oggetti, quindi, ma anche il racconto, declinato nelle voci dei suoi protagonisti grazie all’esperienza concepita da Studio Azzurro, nella quale è il visitatore a innescare le storie, attivando i dispositivi collocati in ogni stanza. Nella prima sala, per esempio, sono esposte le prime edizioni dei libri che avevano garantito fama a Byron, ma spetta al visitatore scegliere in quale tappa del grand tour europeo raggiungere il Lord nel suo volontario esilio dall’Inghilterra. Il racconto audiovisivo ci trasporta sul lago di Ginevra, nella villa dove Byron e i suoi compagni di viaggio si cimentarono nell’invenzione di storie – nacquero così Frankenstein di Mary Shelley e Il vampiro di John William Polidori; oppure sulle Alpi o ancora a Waterloo, là dove finì il sogno napoleonico (nei salotti di Londra, Byron era “il Napoleone della rima” per l’incalzante ritmo dei suoi successi).
È invece a Venezia che ci accompagna la sala successiva: qui le lettere a Teresa in italiano e i medaglioni che Byron le dona con i propri ritratti miniati ci svelano i primi palpiti della passione, mentre le animazioni ci invitano a ripercorrere, passo a passo, il fatale incontro e il corteggiamento. A Ravenna si arriva nella terza stanza, dove è Byron a raccontarci di una “terra poetica” nelle cui pinete mai si stanca di cavalcare; “si respira il Decameron” a Ravenna, secondo il Lord, e a Teresa, appassionata del Sommo Poeta, dedica The Prophecy of Dante. Qui si trova la parte più emozionante dei ricordi conservati da Teresa: i gioielli sentimentali, i riccioli di capelli, un frammento di pelle di Lord dopo una nuotata sotto il solo estivo, il cestino dove conservarne le lettere, i souvenir “vegetali” dei pellegrinaggi in Inghilterra (semi, frutti, foglie e un rametto di felce dal parco di Newstead Abbey), le biografie.
Il dramma in versi Manfred e l’incompiuto capolavoro Don Juan dai natali ravennati risuonano nella quarta sala, rappresentanti l’uno dell’immaginazione tragica di Byron e l’altro della sua vena satirica; nel personaggio di Astarte in Manfred rivive la sorellastra Augusta, mentre le ambiziose pagine del Don Juan guardano alla condizione umana e alla storia. È ancora il Don Juan, assieme al Childe Harold’s Pilgrimage, che ci guida attraverso l’Italia di Byron, fra le opere che scrisse dal 1817 fino ai lavori composti a Ravenna e Pisa; in questa sala si trova anche lo scrittoio da viaggio del Lord.
La successiva stanza è dedicata alla Byromania. Ritratti in varia foggia, gioielli, piatti decorati e libri ispirati alle sue opere più famose ci raccontano Byron come oggetto di culto: ammirato, adulato, detestato e sempre, inevitabilmente, capace di influenzare non solo i suoi contemporanei ma anche l’immaginario collettivo, attraverso Ottocento e Novecento fino ai giorni nostri. Parte di quel mito sono, ovviamente, i suoi amori. Da quello adolescenziale non ricambiato per Mary Chaworth a Lady Caroline Lamb e Lady Oxford, alla relazione incestuosa con la sorellastra Augusta, alle tante donne veneziane… e ancora John Fitzgibbon, compagno di scuola a Harrow, il giovanissimo corista del Trinity College John Edleston e Lukas Chalandrìtsanos, di cui si invaghì, non contraccambiato, in
Grecia.
A proposito di Grecia, nell’ottava e ultima sala, ideale collegamento con il Museo del Risorgimento, scrutiamo gli orizzonti politici di Byron, dall’incontro con i Carbonari a Ravenna alla causa di indipendenza greca, fino al suo tragico epilogo. Qui è esposta l’ultima lettera a Teresa da Missolungi, datata 17 marzo 1824, mentre un orologio da tavolo lo raffigura morente fra le braccia della Grecia.
SCHEDA – IL MUSEO DEL RISORGIMENTO
Da Byron al Risorgimento, il passo è breve. Intrecciando storia nazionale e storia locale, il percorso del Museo del Risorgimento si apre con l’età napoleonica, che è anche quella di Byron, e prosegue fino all’Unità, per terminare con una sezione dedicata al mito di Giuseppe Garibaldi e della moglie Anita, che spirò proprio in queste terre durante la “trafila” garibaldina. Gli oggetti esposti sono quelli delle collezioni risorgimentali di proprietà del Comune di Ravenna, comprensive della Collezione Guerrini e provenienti dalla Biblioteca Classense, e delle raccolte su Garibaldi delle Fondazione Spadolini Nuova Antologia e dalla Fondazione Bettino Craxi, concesse in deposito alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna.
Come nel Museo Byron, la narrazione intermediale di Studio Azzurro dà voce alle testimonianze materiali – più di 450 oggetti tra dipinti, sculture, fotografie, armi e divise, medaglie, senza contare carteggi, editti, bandi e molto altro. Sala dopo sala, attraverso i decenni tra il 1796 e l’inizio del Novecento, le collezioni del Museo del Risorgimento innescano un racconto corale fatto di testimonianze di donne e uomini di ceti diversi – lavoratori delle campagne, proletariato urbano, borghesi, aristocratici – ma anche delle potenti voci di Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II…
Nella prima sala le proiezioni video ci trasportano nel febbraio del 1797, quando a Ravenna fu eretto l’Albero della Libertà: gli ideali della Rivoluzione francese irrompevano in Italia con l’arrivo di Napoleone e venivano diffusi attraverso simboli e feste civiche, come il pellegrinaggio laico alla Tomba di Dante, eletto a modello etico-politico per l’Italia repubblicana dal poeta romagnolo Vincenzo Monti. Le opere di Monti e Foscolo e la medaglia massonica che celebra la prima loggia ravennate sono testimoni del clima del triennio giacobino. Nella sala successiva la voce narrante del carbonaro ravennate Primo Uccellini ci racconta del perdurare degli ideali di libertà e indipendenza dopo il 1815, mentre le pedine di una scacchiera attivano il video in cui Murat, Pio VII, Rivarola e Mazzini scandiscono le fasi della Restaurazione dopo la sconfitta di Napoleone.
Il percorso prosegue nello studiolo di Byron, dove il poeta concluse il poema The Prophecy of Dante e compose i drammi Marino Faliero e The Two Foscari, opere che richiamano l’unità e indipendenza italiane; per tutto l’Ottocento, intellettuali e patrioti italiani ammirarono Byron come precursore del Risorgimento. Molti ravennati si arruolarono come regolari e volontari quando le truppe pontificie entrarono in guerra a fianco del Piemonte contro l’Austria – nello Stato Pontificio di cui Ravenna era parte, la repressione si era mitigata con l’elezione di Papa Pio IX. Una bandiera reca il motto “Italia libero, Dio lo vuole”, mentre scorrono sulla parete pagine di periodici romagnoli sui moti che avrebbero portato alla prima guerra d’indipendenza. I figurini militari di Faustino Joli nella sala successiva evocano proprio quel conflitto che si concluse con la sconfitta sabauda e l’abdicazione di Carlo Alberto.
L’importanza che la “trafila” garibaldina del 1849 ebbe nell’immaginario risorgimentale è testimoniata dagli oggetti nella sesta stanza, incluso l’album fotografico con i “salvatori” di Garibaldi che ne impedirono l’arresto quando fuggì attraverso il territorio ravennate. Nella Fattoria Guiccioli alle Mandriole Anita, incinta e stremata dalle febbri, morì il 4 agosto 1849, diventando icona femminile del Risorgimento. È un collezionismo “dal basso” quello che popola di divise, cappelle, armi la sala successiva, a documentazione della vita militare durante le guerre d’indipendenza. Furono gli stessi protagonisti di quegli anni, soldati regolari o volontari, a donare gli oggetti alla memoria collettiva – tra questi il fucile austriaco offerto dal medico ravennate Domenico Nigrisoli. Qui è esposta anche la grande tela di Vittorio Guaccimanni, La carica della cavalleria del Monferrato alla battaglia di San Martino (1859).
Nella sala dedicata al successo della seconda guerra d’indipendenza e all’Unità d’Italia, i testimoni ravennati sono figure come il sedicenne Dario Busmanti, che cadde combattendo con Garibaldi, l’intellettuale repubblicano Primo Uccellini e il sindaco Gioacchino Rasponi. A questo proposito, la stanza seguente si concentra, attraverso proiezioni interattive e pubblicazioni, su Luigi Carlo Farini, che di Palazzo Rasponi fu inquilino fra il 1835 e il 1840 quand’era medico condotto; amico di Cavour, fu più volte ministro nel Regno di Sardegna e poi in quello d’Italia e fu Presidente del Consiglio nel 1862. Gli oggetti donati dai ravennati dal 1880 e fino alla Esposizione Romagnola del 1904 sono espressione del culto che circondava Garibaldi e Mazzini nonché della sacralizzazione dei caduti e degli eroi, che dal privato delle case trovò spazio nelle strade, nei monumenti e nei musei, nuovi “templi della patria” dove rievocare l’epopea risorgimentale.
SCHEDA – IL MUSEO DELLE BAMBOLE
La Collezione Graziella Gardini Pasini (per anni presidente dell’Accademia di Belle Arti) in parte arricchita grazie a donazioni, ricerche, viaggi e acquisti è collocata nella più recente ala del palazzo, che si affaccia su via Morigia. Oggi la “famiglia” di bambole conta più di duemila esemplari, nei materiali più svariati – porcellana, stoffa, celluloide, panno, cartapesta… – e di firme ben note agli appassionati: Jumeau, Armand Marseille, Lenci, Kathe Kruse, Furga, Tartaruga, Minerva. Una collezione nella collezione è quella delle Kewpie, bamboline ispirate ai personaggi della fumettista Rose O’Neill e popolari già nel 1909, mentre il “Kaiser Baby” ha le fattezze del figlio di Guglielmo II di Prussia; ci sono vestiti alla marinara e riccioli alla Shirley Temple e la “Piccola italiana” del Ventennio.
Non mancano naturalmente gli accessori. Non solo il guardaroba della bambola ma anche piccoli arredi e oggetti per ricreare la quotidianità, educando sulle buone maniere, le attività domestiche e l’arte del ricevimento. Così il Museo diviene anche un percorso attraverso la storia del design in Italia ed Europa, perché gli elementi in miniatura riproducono lo stile in voga, che sia Liberty, Déco o Minimalismo svedese. Non solo bambole però. Il mondo della scuola si esprime in cartelle in fibra, abbecedari, quaderni, calamai, pennini, matite rosse e blu, mentre il tempo libero è costellato di cavalli a dondolo, tricicli, automobiline a pedali e giocattoli in latta.
SCHEDA – PALAZZO GUICCIOLI
Palazzo Guiccioli si trova nel cuore di Ravenna, sulla centralissima via Cavour. Dimora nobiliare fra le più importanti e imponenti della città, Palazzo Guiccioli diventa luogo di narrazioni e memorie dell’Ottocento ravennate, italiano ed europeo. Qui, oggi, i visitatori possono immergersi in quelle vicende e identificarsi con i loro protagonisti attraverso le sale del Museo Byron e del Museo del Risorgimento (inclusa una sezione dedicata a Garibaldi), a cui si aggiunge il Museo delle Bambole – Collezione Graziella Gardini Pasini. Il nuovo prestigioso complesso museale, esteso su 2.220 metri quadrati, è frutto di un complesso intervento di restauro conservativo e di riqualificazione, promosso e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, attuale proprietaria del palazzo; lungo i suoi percorsi, i dispositivi intermediali ideati da Studio Azzurro restituiscono voce a Palazzo Guiccioli e alle tante storie di cui è stato testimone e di cui oggi è custode, per un’esperienza di visita coinvolgente e appassionante.
Palazzo Guiccioli è comunemente associato alla residenza a Ravenna di George Gordon Byron tra il 1819 e il 1821, ma la sua storia, cominciata a fine Seicento, annovera altri illustri visitatori e abitanti, mentre le stesse pareti dell’edificio testimoniano il mutare del gusto attraverso i secoli. Il palazzo nasce come manifestazione dell’ascesa sociale degli Osio, famiglia di origine borghese e lombarda che a Ravenna è ammessa al patriziato. Circa un secolo più tardi, nella corte si sperimenta il volo di uno dei primi palloni aerostatici – Palazzo Osio è diventato un salotto culturale di riferimento della città.
All’alba dell’Ottocento lo acquista Alessandro Guiccioli, rappresentante di quella nobiltà che aveva convenientemente abbracciato gli ideali giacobini. Quando sposa Teresa Gamba nel 1818, il Conte è due volte vedovo, ha sette figli e quarant’anni in più della bellissima diciottenne che ha preso in moglie. La presenza di Byron a Ravenna, che raggiunge l’amata Teresa e prende dimora nel palazzo dopo avere conosciuto la contessina a Venezia, attira in visita a Ravenna anche l’amico Percy Shelley.
Alla separazione fra Teresa e Alessandro seguono alterne sorti per il palazzo. Affittato a porzioni, conta fra gli inquilini il patriota Luigi Carlo Farini (all’amico di Cavour e futuro presidente del Governo dell’Italia unita nel 1862 è dedicata una sala nel Museo del Risorgimento). Vi prenderanno residenza Giulio Rasponi con la consorte Luisa Murat, il cui zio era Napoleone Bonaparte, e poi la principessa di Valacchia Costanza Ghika, vedova di Gioacchino Rasponi-Murat. Catturati dal mito di Byron, giungono in pellegrinaggio la poetessa francese Louise Colet e più tardi Oscar Wilde, che descrive lo stato desolato in cui versa la dimora. A fine Ottocento, cominciano anni “militari” per il palazzo, prima affittato al locale Comando di Divisione, nel ’43 sede del Comando tedesco, poi delle truppe polacche, quindi del Comando Territoriale dell’Arma e infine del Circolo Ufficiali.
Nel 2012, la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna ha acquistato l’edificio dal Comune di Ravenna per riportarlo all’antico splendore e renderlo sede di un nuovo complesso museale. Colte le potenzialità di questo tesoro dimenticato, la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna si è impegnata a restituire Palazzo Guiccioli e le sue storie alla città e al mondo, dando nuova funzione museale agli spazi storici e riportando alla luce i magnifici apparati decorativi nascosti da strati di intonaco – scene galanti, paesaggi arcadici, capricci e grottesche, nonché gli affreschi che lo stesso Byron commissionò per lo studiolo dove scrisse capolavori. L’inatteso rinvenimento ha svelato due riquadri che richiamano la Venere di Urbino e la Danae di Tiziano; Byron giudicò che il pittore di fiducia a cui si era rivolto “tutto sommato … non se l’è cavata male” (Diario, 9 gennaio 1821).
Sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna, il complesso e delicato intervento di recupero è stato realizzato da Aurea Progetti di Ravenna, con il Laboratorio del restauro di Ravenna per le superfici lapidee. Mentre il Museo Byron e il Museo del Risorgimento sono collocati rispettivamente nelle stanze del piano ammezzato e in quelle del piano nobile, il Museo delle Bambole – Collezione Graziella Gardini Pasini trova spazio nella più recente sezione dell’edificio su via Morigia, ancora non edificata nell’Ottocento. Dalla corte d’onore si accede invece ai locali della biglietteria, del guardaroba, del bookshop, della caffetteria e del ristorante e vineria. E ogni spazio racconta una storia: il bookshop si trova dove i tedeschi costruirono un bunker per proteggersi dai bombardamenti alleati, la Taverna Byron occupa le cantine dove il Lord nascondeva le armi acquistate per la Carboneria con la complicità di Ruggero e Pietro Gamba (padre e fratello di Teresa) e dove ora c’è la caffetteria alloggiava il piccolo zoo che Byron portò con sé da Venezia, inclusi i cavalli con cui al mattino si recava nella pineta dove conobbe i carbonari.
Fu proprio in occasione del matrimonio con Teresa Gamba che il conte Alessandro Guiccioli fece realizzare affreschi e ornamenti neoclassici che resero Palazzo Guiccioli una delle più fastose ed eleganti dimore ravennati. Gli ideali risorgimentali presto trapelano anche nei riferimenti iconografici – i medaglioni raffigurano non le Muse, ma Dante, Virgilio, Ariosto e Petrarca; nella sala del teatro, Alfieri, Goldoni, Rossini e il ballerino Viganò sono nuove fonti di ispirazione per i salotti in cui sognava una Patria già unita nel segno delle arti.
Il concept di Palazzo Guiccioli unisce due forme museografiche, congiungendo tradizione e innovazione: da un lato la “collezione” e quindi conservazione e valorizzazione del patrimonio materiale; dall’altro, la “narrazione” che restituisce vita e senso agli oggetti esposti, mettendoli in dialogo con l’immateriale, cioè le storie, le memorie e le emozioni. Così il museo informa raccontando, educa coinvolgendo e intrattiene emozionando. Palazzo Guiccioli realizza lo sfuggente ideale del “museo narrativo”, non semplice contenitore di oggetti ma magnifica macchina che rimette in circolo racconti e ricordi, ideali e sentimenti.